Romeo Anconetani: Il Presidente-Stregone tra Sale, Talenti e un amore incondizionato per il suo Pisa

Un presidente «vulcanico», indimenticabile per quei gesti pittoreschi che lo fanno ricordare sempre con un sorriso.

Oggi, Romeo Anconetani, scomparso il 3 novembre 1999, avrebbe 103 anni. Un uomo che ha incarnato un calcio fatto di passione viscerale, intuizioni geniali e una scaramanzia quasi teatrale.

Dopo esser stato radiato dal calcio per una presunta combine quando era direttore sportivo del Prato (e poi riammesso con l’amnistia del 1982 dopo il Mondiale vinto dall’Italia), per sedici anni (dal 1978 al 1994) è stato l’anima e il motore del Pisa, portandolo dalla polvere della Serie C fino ai palcoscenici scintillanti della Serie A, dove i nerazzurri hanno militato per ben sei stagioni sotto la sua egida, seppur a fasi alterne.

Un’epopea indimenticabile per la città della Torre Pendente.

Ma Anconetani non era solo un presidente ambizioso; era un uomo dai mille volti. Era un finissimo fiutatore di talenti, capace di scovare gemme preziose prima degli altri. Basti pensare al danese Klaus Berggreen, prelevato dal Lyngby per soli 270 milioni di lire e ceduto pochi anni dopo alla Roma per la cifra stratosferica di 5 miliardi. O al futuro capitano del Brasile campione del mondo, Carlos Dunga, arrivato per 600 milioni e rivenduto alla Fiorentina per più di un miliardo. E come dimenticare gli argentini José Antonio Chamot e Diego Simeone? Anche loro arrivati giovani e sconosciuti dall’Argentina, e poi ceduti a peso d’oro, generando plusvalenze che facevano la fortuna del club.


La scaramanzia del presidente

 

Tuttavia, Romeo Anconetani è rimasto impresso nella memoria collettiva soprattutto per le sue “magie” fuori dal campo, per quei rituali scaramantici che erano parte integrante dello spettacolo. Chi può dimenticare le sue celebri passeggiate sul prato dell’Arena Garibaldi prima delle partite cruciali? Armato di un sacchetto, spargeva sale grosso, specialmente vicino alle bandierine del calcio d’angolo o in altre zone “strategiche” del campo: in una partita pare ne abbia sparsi 26 chili! E se non era sufficiente, seguiva la processione al Santuario di Montenero, talvolta anche a piedi scalzi. Riti scaramantici al limite dell’ossessione rimasti nell’immaginario collettivo al punto da ispirare il regista Sergio Martino per delineare il personaggio di mister Oronzo Canà (Lino Banfi), nel celebre cult L’allenatore nel pallone. Un giorno a Pescia si ruppe un bicchiere mentre calciatori e staff stavano pranzando; la partita dopo il Pisa vinse e Romeo ogni settimana pretese che si spaccasse un bicchiere a tavola prima del match. La cosa durò 2-3 mesi, finendo solo quando la squadra cominciò a perdere.

Gesti e riti propiziatori, quasi da “stregone”, per allontanare la sfortuna e benedire il terreno amico. Gesti che facevano sorridere, ma che raccontavano in pieno il suo modo unico di vivere il calcio.

E poi c’era il suo rapporto quasi paterno, ma sempre esigente, con i suoi giocatori. Anconetani non era un presidente distante, chiuso negli uffici del potere. Era uno di loro, a modo suo. Gestiva un noto ristorante in città e non era raro che fosse lui stesso, con il grembiule allacciato, a servire ai tavoli i suoi calciatori. Lo faceva anche nei ritiri di Tirrenia o Pescia. Un modo per controllarne l’alimentazione, certo, ma soprattutto per creare gruppo, per farli sentire parte di una famiglia, la sua famiglia nerazzurra. E poi faceva spesso regali ai calciatori, salvo poi detrarne i costi dai premi partita se non si “comportavano” bene in campo.

 

Un calcio lontano

Romeo Anconetani era questo e molto altro: le interviste infuocate, le battaglie con arbitri e dirigenti avversari, le frasi ad effetto. Un personaggio istrionico, passionale, che ha scritto pagine indelebili della storia del Pisa e del calcio italiano.

Oggi, in un calcio sempre più dominato da fondi d’investimento e logiche finanziarie, figure come quella di Romeo Anconetani mancano terribilmente. Manca quel misto di genio, follia, amore incondizionato e umanissima scaramanzia che rendeva il pallone un racconto popolare, una favola vissuta con il cuore in gola ogni domenica. E nel ricordarlo, non possiamo che sentire una profonda nostalgia per quel calcio romantico che, probabilmente, non tornerà più.

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
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