Il Vado e l’incredibile storia della prima Coppa Italia

Agli inizi degli anni ’20, il calcio italiano era un mondo in piena evoluzione, ma anche attraversato da profonde divisioni. Ed è in questo scenario complesso che vide la luce la prima edizione della Coppa Italia, nel 1922, un trofeo la cui storia inaugurale fu segnata in modo indelebile dalle vicende federali dell’epoca.

Il pomo della discordia era la cosiddetta “scissione” del 1921.

Le principali e più influenti società calcistiche, soprattutto del Nord Italia (tra cui club come Pro Vercelli, Juventus, Inter, Milan, Genoa, Torino e Bologna), erano entrate infatti in aperto conflitto con la FIGC. Le ragioni erano principalmente legate alla struttura dei campionati, ritenuti troppo vasti e dispersivi. Questo gruppo di club “ribelli” diede così vita a una federazione parallela, la CCI (Confederazione Calcistica Italiana), organizzando un proprio campionato per la stagione 1921-1922. L’Italia si ritrovò, quindi, con due distinti tornei di massima serie e due squadre campioni: Pro Vercelli e Novese.

In questo clima di spaccatura, la FIGC, nel tentativo di consolidare la propria attività e offrire una nuova competizione ai club rimasti sotto la sua egida, istituì la Coppa Italia. Tuttavia, le squadre di maggior richiamo aderenti alla CCI scelsero in gran parte di non partecipare a questa nuova coppa, considerandolo un impegno secondario. Questo boicottaggio ebbe ovviamente un impatto diretto sul profilo e sul livello tecnico della prima edizione del torneo, aprendo però spazi inattesi per altre realtà.

Tra queste, il Vado Football Club. La squadra ligure, dell’omonima cittadina in provincia di Savona, militava regolarmente nei campionati FIGC. La Coppa Italia 1922, quindi, si presentò come un’opportunità per club meno blasonati, in un contesto agonistico oggettivamente diverso da quello che sarebbe stato con la presenza di tutte le forze del calcio nazionale.


Le partecipanti, uno strano regolamento e la stella di Levratto

37 squadre prendono parte quindi alla Coppa Italia 1922, tra cui club comunque di buon livello come Parma, Treviso, Udinese, Triestina e Novese.

Ma anche tra queste 37 squadre, qualcuna rinuncia già da subito a partecipare per via dei costi e dei pochi benefici economici che mette a disposizione la federazione. Infatti, per regolamento la Società sorteggiata per giocare sul proprio campo doveva garantire cento Lire alla Figc, oltre che pagare alla formazione avversaria le spese del viaggio più 30 lire a testa per tutti i componenti della squadra.

Regolamento molto discutibile, sfruttato però alla perfezione dai dirigenti del Vado che, grazie alle possibilità economiche e alla bravura nel trovare finanziamenti, riusciranno a disputare ben 5 partite su 6 in casa.

E poi il club ligure aveva dalla sua una piccola “stella”, Virgilio Felice Levratto. Nato a Carcare nel 1904, e all’epoca dei fatti appena diciassettenne. Nonostante la giovanissima età Levratto era un giocatore potente e già rinomato per la sua abilità nel gioco aereo, tanto da essere conosciuto come “Testina d’oro”. Ma fu la forza del suo tiro a entrare nella leggenda in occasione della finale… Ci arriveremo.  

Scalata

Il percorso del Vado nella coppa fu una progressione costante che portò i rossoblù, tra lo stupore di molti e l’entusiasmo crescente dei propri sostenitori, fino alla partita decisiva per l’assegnazione del trofeo. La finale si disputò il 16 luglio 1922, con l’Udinese come avversario. L’incontro si giocò sul campo casalingo del Vado – il “Campo di Leo” – per le ragioni citate sopra nella descrizione del regolamento, un fattore che certamente ha potuto contribuire e influire sulla vittoria finale.

Raccontano che comunque una partita molto tesa e combattuta. Al termine dei tempi regolamentari, il risultato era ancora fermo sullo 0-0. Fu necessario quindi proseguire con i tempi supplementari per decretare un vincitore. E quando anche gli “extra time” sembravano ormai destinati a terminare in parità, ecco che arriva il momento decisivo, il 118° minuto. A raccontare quel primo trofeo messo in palio dalla FIGC non c’erano ancora né la televisione né la radio, ma soltanto le macchine da scrivere dei giornalisti, cronisti di un’epopea nascente. E furono proprio loro a tramandare la descrizione di un gol che sarebbe diventato storia…

“Ecco che Levratto avanza verso il centro e anticipa l’entrata dell’avversario bianconero. – la cronaca di un giornale dell’epoca – Affronta il terzino destro, finta sulla sinistra, avanza e dai 20 metri lascia partire un tiro fortissimo: la palla è in rete, il Vado vince la prima Coppa Italia della storia!”.

Lo “sfondareti”

Quella marcatura divenne immediatamente materia di aneddoti e leggende metropolitane. Si racconta che il terzino dell’Udinese Cantarutti, incredulo, avesse chiesto: “Ma è gol?”. La risposta del portiere friulano Lodolo, altrettanto sbigottito, arrivò nel suo dialetto: Al è passât e al à fat la bus (“Il pallone è passato e ha bucato la rete”), mentre guardava la rete strappata alle sue spalle. L’episodio, sospeso tra realtà e mito popolare, trovò eco sui quotidiani del tempo, che riportarono come il tiro di Levratto fosse stato talmente potente da lacerare la rete e far rimbalzare il pallone addirittura contro la Torre di Scolta, un edificio situato dietro la porta dell’Udinese. Fu proprio con quel gol, con quella dimostrazione di incredibile potenza, che il giovane attaccante si guadagnò sul campo un altro soprannome destinato a restare per sempre: lo sfondareti.

Quel gol consegnò al Vado la prima Coppa Italia della storia.

Per la cittadina ligure fu un trionfo memorabile, ancora oggi ricordato con orgoglio e nostalgia. Per Levratto, una consacrazione che lo avrebbe poi portato a calcare palcoscenici più importanti (giocherà nel Genoa, nell’Ambrosiana Inter e nella Lazio), inclusa la Nazionale, con cui segnerà anche 11 reti.
Certo, è doveroso rimarcare come il lotto delle partecipanti fosse, come detto in precedenza, condizionato dall’assenza di molte delle squadre più forti del momento, tra cui Juventus, Inter, Milan, Torino, Genoa e Bologna.

Ciò, però, non cancellerà mai la meravigliosa impresa compiuta dal piccolo club ligure, che vedrà per sempre inciso il suo nome nell’albo d’oro della Coppa nazionale.

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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