Barcellona-Espanyol: una città, due anime

La conquista del ventottesimo titolo di campione di Spagna da parte del Barcellona, avvenuta ieri sul campo della concittadina Espanyol, ha nuovamente acceso i riflettori sulla profonda e complessa rivalità che caratterizza il derby barcellonese.

Come facilmente preventivabile, la festa dei blaugrana è stata turbata da circostanze che ne hanno limitato i festeggiamenti. Già prima del fischio d’inizio, tra l’altro, la notizia di un grave incidente stradale all’esterno dello stadio, dove una vettura ha investito dei passanti (fortunatamente senza conseguenze tragiche), aveva in qualche modo frenato gli entusiasmi. Successivamente, al termine della partita vinta dagli uomini di Hansi Flick (con il solito super Lamine Yamal, gol e assist per Fermín López), mentre i giocatori ospiti accennavano ai primi festeggiamenti sul terreno di gioco, l’attivazione del sistema di irrigazione del campo li ha costretti a una rapida ritirata verso gli spogliatoi.

Come due anni fa

Episodio che, pur con dinamiche diverse negli incidenti sul campo, non può che richiamare, per circostanze e dolorose coincidenze per i tifosi dell’Espanyol, quanto accaduto due stagioni fa. Per uno strano scherzo del destino, infatti, anche in quell’occasione, ma alla quartultima e non alla terzultima giornata, il Barcellona si laureò campione di Spagna (per la ventisettesima volta) espugnando lo stadio El Prat.

Quella vittoria, che per l’Espanyol significò un passo quasi definitivo verso l’amara retrocessione poi concretizzatasi a fine stagione, ebbe un epilogo ben più drammatico e pericoloso.

Al fischio finale, purtroppo, un nutrito gruppo di ultras dell’Espanyol invase il terreno di gioco, dando vita a una deprecabile e triste caccia all’uomo nei confronti dei giocatori del Barcellona. Fortunatamente, i calciatori blaugrana, intuendo le intenzioni degli invasori, riuscirono a guadagnare la via degli spogliatoi appena in tempo, evitando conseguenze fisiche dirette: un segno indelebile sulla cronaca di quella giornata e sulla storia della rivalità.

 

Tifosi dell’Espanyol che invadono il campo nel 2023


Due anni dopo, quindi, il Barcellona si è ritrovato nuovamente a celebrare un titolo in casa dei rivali. Fortuna che per l’Espanyol, pur nel dispiacere della sconfitta nel derby e della festa altrui, la classifica attuale offre quantomeno la prospettiva di una salvezza ormai vicina. Il margine di cinque punti sul Leganés a due giornate dal termine, dovrebbe scongiurare il ripetersi dell’incubo retrocessione.

L’antica rivalità

Le ragioni di una tale e persistente animosità tra le due principali realtà calcistiche di Barcellona vanno ricercate agli albori del XX secolo. La fondazione del Barcelona nel 1899, per mano dello svizzero Joan Gamper (a cui è dedicato il famoso Trofeo Gamper che si disputa quasi sempre nell’agosto di ogni anno) e di un gruppo eterogeneo di catalani e stranieri, delineò un club dall’impronta cosmopolita.

In risposta, l’anno successivo, lo studente Ángel Rodríguez Ruiz diede vita alla “Sociedad Española de Foot-ball”, con l’esplicito intento di creare una squadra composta prevalentemente da giocatori spagnoli o catalani. Il nome stesso, “Español”, era una dichiarazione di posizionamento identitario, un polo di aggregazione per l’identità spagnola all’interno di una Catalogna dalla spiccata coscienza indipendentista.

Questa originaria contrapposizione si è trasfusa in una rivalità che ha sempre trasceso l’aspetto puramente sportivo.

Ma per cogliere appieno l’essenza dell’Espanyol, bisogna comprendere ciò che i suoi tifosi chiamano “La Força d’un Sentiment”. Sentimento che ha avuto per oltre settant’anni un tempio proprio, un “catino” costruito negli anni ‘20 che ha scritto pagine indelebili di storia: lo stadio Sarrià. Più che un semplice impianto, il Sarrià era il cuore pulsante di una tifoseria orgogliosa, il luogo che per decenni ha fatto da fiero contraltare al gigantismo del Camp Nou, conferendo dignità e voce all’altra squadra della città. La sua atmosfera vibrante, capace di trascinare spesso la propria squadra, non passò inosservata, tanto da essere scelto come cornice per la seconda fase del Mundial 1982. E che fase! Il Sarrià ebbe l’onore di ospitare un girone con Brasile, Argentina e, soprattutto, l’Italia di Enzo Bearzot che proprio lì costruì il suo trionfo indimenticabile. Ma questa è un’altra storia…

Una città, due anime

La morfologia calcistica di Barcellona vede dunque due anime ben distinte. Da un lato il Barça, con la sua storia di apertura internazionale fin dalla fondazione, e diventato nel tempo un potente megafono della causa catalana. La società blaugrana e i suoi giocatori si sono spesso esposti in prima persona su temi politici sensibili; basti pensare al duro comunicato emesso durante il referendum per l’indipendenza catalana dell’ottobre 2017, in cui si condannava l’operato del governo centrale spagnolo, con il Camp Nou trasformato in un tripudio di bandiere indipendentiste.

Dall’altro lato, però, pulsa con fierezza l’Espanyol, un club che già nel 1912 ricevette da Re Alfonso XIII il titolo di “Real”, potendo fregiarsi della corona reale sul proprio stemma. Una realtà che ha sempre cercato di marcare una certa distanza dalle infuocate dinamiche politiche locali. In risposta agli eventi del 2017, ad esempio, l’Espanyol sottolineò con un comunicato il “coraggio di non aumentare il conflitto” nella propria terra, ribadendo la volontà di mantenere una netta distinzione tra sport e politica e criticando le prese di posizione dei cugini come “piene di parole vuote che non aiutano la distensione”.

L’evoluzione dell’Espanyol

Tuttavia, “La Força d’un Sentiment” è stata messa a dura prova dalle difficoltà economiche che hanno storicamente afflitto il club, impedendogli una presenza stabile ai vertici del calcio spagnolo. Il colpo più duro arrivò nel 1997, quando la dirigenza, stretta dalla necessità, dovette prendere la dolorosissima decisione di vendere i terreni su cui sorgeva l’amato Sarrià. Per la tifoseria fu un’umiliazione profonda: il loro stadio, teatro di settant’anni di gioie e dolori, demolito per far posto a un elegante complesso residenziale? Un vero disastro! Un sipario che calava bruscamente su un pezzo fondamentale della loro storia.

La nuova “casa” divenne l’anonimo e scomodo Stadio Olimpico Lluís Companys, sulla collina del Montjuïc (dove sta giocando ora il Barça in attesa del nuovo Spotify Stadium) – peraltro intitolato a un presidente della Generalitat Catalana fucilato dalle truppe franchiste: un dettaglio non irrilevante nel contesto delle identità cittadine. Quell’impianto, difficile da raggiungere e privo del calore del Sarrià, non fece mai veramente breccia nel cuore dei “pericos”.

Ma la resilienza dell’Espanyol trovò nuova linfa. Nel 2009, grazie a una ritrovata solidità finanziaria, il club investì oltre 50 milioni di euro per costruire un impianto di proprietà. L’ RCDE Stadium, noto anche con il nome della località Cornellà – El Prat, è diventato l’erede moderno del Sarrià. Uno stadio da 40.500 posti, tutti coperti, considerato un gioiello architettonico e un vanto per la tifoseria, che dopo quasi vent’anni di “sfratto” emotivo ha ritrovato una dimora degna del proprio sentimento.

Questa capacità di resistere, di mantenere viva la propria identità e di rinascere dalle proprie ceneri, definisce l’Espanyol tanto quanto le sue origini e la sua posizione nel panorama politico-calcistico barcellonese. Nettamente contrastanti con quelle del Barça…

Ultras e politica

Le tensioni tra “pericos” e “culés” trovano ovviamente terreno fertile nelle divergenze politiche, particolarmente visibili nelle posizioni delle frange ultras più estreme. I “Boixos Nois” del FC Barcelona, pur in un contesto di ufficiale apoliticità del club, sono storicamente vicini all’indipendentismo catalano e a movimenti di sinistra. All’opposto, le “Brigadas Blanquiazules” dell’RCD Espanyol si caratterizzano per un marcato nazionalismo spagnolo e simpatie per l’estrema destra. Questo scontro ideologico trasforma ogni derby in un evento carico di significati extra-calcistici, esacerbando l’ostilità.

E poi cosa aggiungere…

Episodi come il “Tamudazo” del 2007, quando un gol di Raúl Tamudo per l’Espanyol al Camp Nou costò di fatto la Liga al Barcellona.
>Come la finale di Copa del Rey del 1957, l’unica disputata tra i due club per la conquista del trofeo vinta dal Barcellona e che vide la tensione arrivare ai massimi livelli.
>O ancora “El partidazo” di un ex dal dente avvelenato, Iván de la Peña, “Lo Pelat”, cresciuto proprio nella Masia blaugrana che con una doppietta memorabile regalò all’Espanyol una vittoria per 2-1 contro il Barcellona di Guardiola (che avrebbe poi conquistato il triplete). Furono tre punti d’oro per la salvezza dei pericos e una delle pochissime sconfitte interne di quella squadra leggendaria.

Tutti episodi incisi nella memoria collettiva che testimoniano come, in questa sfida, ogni risultato possa assumere contorni epici o drammatici.

Gli avvenimenti recenti non fanno altro che confermare, quindi, la natura complessa di questa storica contesa cittadina. Un confronto tra due anime di Barcellona che il calcio continua a mettere visceralmente a nudo.

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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