“Per il nostro calcio, ha avuto la stessa importanza di Pelé”.
Ecco, se dovessimo descrivere in maniera spiccia ma precisa cosa è stato per il Brasile e per il calcio brasiliano “Mister Futebol”, Mario Jorge Lobo Zagallo, queste di Romario sarebbero le parole perfette.
Già, O rei Pelé, l’istituzione calcistica più grande, probabilmente lo sportivo più iconico dello sport brasiliano, con cui Zagallo ha vinto la Coppa del mondo in ben tre occasioni: due da giocatore (1958 e 1962) e una da c.t. (1970).
Poi Zagallo, però, non si è voluto fermare e ne ha vinta addirittura un’altra ventiquattro anni dopo da assistente di Parreira, diventando in un certo senso “immortale”: è l’unico infatti che può vantare quattro campionati mondiali, seppur in vesti diverse.
Da allenatore è stato un punto di riferimento per tanti campioni di varie epoche. Da Pelé a Ronaldo il fenomeno, da Garrincha a Romario: tutti adoravano il suo modo di essere e il suo modo di interpretare il calcio.
Proprio il fenomeno, dopo la notizia della sua dipartita, lo ha omaggiato così sui social: “sei stato il mio miglior allenatore, la tua eredità è unica. Sei speciale! Grazie maestro, ti voglio bene”. Uno dei messaggi più belli da leggere.
Inizi
Nasce a Maceio, nord est del Brasile, nel lontano 1931, per poi trasferirsi pochi anni dopo insieme alla famiglia (di antiche origini italiane) a Rio de Janeiro.
Una famiglia modesta – come la maggior parte di quelle che popolano il Sudamerica – che non può permettersi di farlo studiare. Così deve decidere il piccolo Mario: o lavoro o seminario dei preti.
Via con la seconda opzione, che sarà però solo una parentesi di gioventù. La sua vocazione è un’altra: il Futebol.
Inizia nel Maguari, nei campionati minori, prima di trasferirsi al Flamengo. In rubonegro rimane otto stagioni, poi altre otto al Botafogo: sono le uniche due squadre con cui giocherà in carriera. Lo chiamano “Formiguinha”, formichina, perché lavora sodo sulla fascia a differenza della maggior parte dei calciatori brasiliani, più vicini a quel “calcio bailado” che da sempre prende il sopravvento in patria.
Si guadagna la nazionale in maniera fortunosa ai mondiali del 1958, visto che prende il posto dell’infortunato Pepe, micidiale ala sinistra del Santos. Da lì, non la lascerà più.
Prima nel 1958 in Svezia, con Garrincha, Didì, Vavà e Pelé (dove segnerà in finale), poi nel 1962 in Cile (stavolta senza Pelé, infortunatosi nelle prime partite), Zagallo scrive il suo nome nella storia della Coppa Rimet. Nel 1970, diventato commissario tecnico, la toglierà definitivamente dalla circolazione vincendola per la terza volta: visto il regolamento, la Rimet non sarà mai più di nessun’altra nazionale, è tutta del Brasile. Anche e soprattutto grazie a lui.
Allenatore dei due mondi
Negli anni, oltre alla Seleçaõ, allenata in più occasioni (ben 5), in Brasile siederà sulla panchina del Botafogo (in tre occasioni diverse), del Fluminense (due), del Flamengo, del Vasco, del Bangu e del Portuguesa. Nel mentre, anche tante esperienze arabe, tra Kuwait, Emirati arabi (nazionali) e Arabia Saudita (Al Hilal, Al Nassr e nazionale): vedendo come stanno andando le cose adesso, piace pensare che sia stato precursore anche qui…
In totale, saranno 25 i trofei da allenatore.
Il suo è stato un calcio pragmatico, distante dal calcio bailado e un po’ superficiale che da sempre contraddistingue il calcio brasileiro. E menomale…
Gli davano del “filoeuropeo”, lui era felice di questo. “Sì, il calcio europeo mi piace. Dovrebbe piacere anche a voi. Perché non si può coniugare spettacolo e vittorie?” dirà. Era avanti anni luce rispetto alla media del suo paese.
Si è spento a 92 anni, nella sua Rio, con la federazione brasiliana che ha decretato sette giorni di lutto. Comprensibile per uno che, da quelle parti, non è stato un uomo qualunque.
Per uno che, da quelle parti, è stato “Mister Futebol” e lo sarà per sempre.