Romanzando con Stefano Sorrentino

Stefano Sorrentino - grafica Sports Creators

A un anno esatto dal suo ritiro, intervista esclusiva offertavi da Romanzo Calcistico.

Gigi Potacqui, fondatore di Romanzo Calcistico, intervista una colonna del nostro calcio, pagina indelebile della Serie A degli ultimi quindici anni, l’uomo con gli occhi della tigre a difesa dei pali: Stefano Sorrentino.

 

‹‹Cosa vuol dire essere portiere?››

‹‹Intanto vuol dire che ti manca qualche rotella, invidio gli attaccanti che non hanno le nostre stesse responsabilità e gli basta stare là davanti e segnare per vivere una carriera di rendita.

Scherzi a parte quello del portiere è un ruolo a sé, basti pensare anche solo alla divisa differente rispetto al resto della squadra, al fatto che sia l’unico a poter usare le mani e a possedere quindi determinate caratteristiche che gli altri non hanno››.

‹‹Anche psicologicamente il portiere è sempre lontano dal gioco, non deve essere facile mantenere alta la concentrazione…››

‹‹Esatto, gli altri giocatori bene o male riescono a sfogarsi con la corsa, con l’avversario, con il movimento, mentre il portiere in questo senso è limitato.

Può essere decisivo in positivo o in negativo con un solo pallone, con una sola parata, quindi la concentrazione è un aspetto fondamentale.

È chiaro, è un ruolo particolare. Io dico sempre, quanti giocatori di ruolo mettono le mani o la faccia nei piedi mentre uno sta calciando? Pochi, fa parte del DNA del portiere.

Poi il fatto di essere sempre con la testa dentro la partita a me serviva per essere attivo, per essere uno di loro, anche perché per esempio se noti dopo un gol un portiere esulta sempre da solo. 

Quindi è importante essere forti mentalmente e sentirsi parte della squadra, per poi aiutarla e alzare anche a questa la concentrazione, a volte anche con un semplice richiamo a un compagno››.

‹‹Forse è il primo aspetto che si richiede in un portiere: la personalità, la leadership, il fatto che si dimostri una guida da dietro…››

‹‹Sì, sicuramente. Il fatto di essere una sorta di allenatore in campo, avendo anche una visione migliore della partita, potendo viverla da dietro, rispetto magari agli altri 10 in mezzo al campo››.

‹‹Da bambino avevi già in mente di fare il portiere?››

‹‹Io giocavo da attaccante nei “Giovanissimi” del Bologna, la squadra dove militava mio papà. In un torneo però mancarono tutti e due i portieri quindi l’allenatore Rino Rado, anche questi ex portiere bolognese, mi disse di andare tra i pali, essendo figlio di portiere e avendo presumibilmente nel Dna quel ruolo.

Avendo già manie di grandezza da piccolino, accettai in cambio però della fascia da capitano, proprio come aveva mio padre all’epoca in prima squadra.

Il ruolo ce l’avevo già nel sangue, in quel torneo vinsi miglior portiere. Tornando a casa in macchina con mio papà poi gli chiesi cosa ne pensasse del cambio di ruolo, lui mi lasciò libera scelta e da lì iniziò la mia fortuna››.

‹‹Noti differenze tra il calcio di quando hai iniziato tu a giocare e quello di adesso? Anche a livello di atteggiamento dei giocatori››

‹‹Sicuramente c’è stato un cambiamento, io ricordo le primissime convocazioni in prima squadra, la prima volta a San Siro per esempio ricordo di essermi guardato attorno per mezz’ora, mentre oggi molti giovani giocatori la prima volta che vedono San Siro si preoccupano di fare foto e selfie...

Sicuramente le cose stanno cambiando.

Rimprovero le mie stesse figlie perché a volte non vedo in loro una vera passione per qualcosa, quando ero piccolo avevo in testa solo il calcio, giocavo nel corridoio di casa con mio fratello, inventandoci anche delle palline di carta o scotch quando mia mamma ci nascondeva i palloni.

Si aveva molto meno rispetto ad adesso, forse è per quello che bastava avere un pallone per andare a giocare in cortile.

Si giocava sino a quando non ci si sbucciava le ginocchia, adesso tra social e playstation tutto sta cambiando, non solo il mondo del calcio.

Ma quest’ultimo credo rimanga ancora oggi lo sport più bello di tutti››.

‹‹C’è un giocatore che ti segnava di più e che temevi di più?››

‹‹Ho avuto la fortuna di giocare insieme a Gilardino che è un mio grande amico, ma sfortunatamente da avversario mi ha sempre segnato parecchie reti.

Anche Cassano mi segnava spesso, ma la vera e propria bestia nera degli ultimi anni era Stephan El Shaarawy… Avevamo anche lo stesso procuratore, gli dicevo sempre di non esagerare, purtroppo mi ha fatto rosicare più di una volta››.

‹‹Qual è secondo te, rimanendo in tema portieri, il portiere più forte del momento e quello magari in cui ti rivedi?››

‹‹Stanno facendo molto bene Donnarumma, Gollini e Silvestri, con quest’ultimo che era mio compagno di squadra al Chievo un po’ di anni fa e che sta venendo fuori molto bene, sta facendo negli ultimi anni grandissime cose.

Il portiere in cui mi rivedo sotto certi punti di vista è forse proprio Silvestri, spero abbia preso qualcosa da me visto che è più piccolo e abbiamo lavorato insieme.

Battute a parte, Marco è un amico quindi sono molto contento per ciò che sta ottenendo, anzi mi meravigliavo che non fosse esploso prima››.

‹‹Cosa pensi invece di Handanovic che ha ricevuto diverse critiche nelle scorse settimane?››

‹‹Tutti passano momenti delicati, come ho già detto una settimana fa da ospite in televisione, se si inizia a criticare anche Handanovic significa che bisogna cambiare canale.

È un giocatore che abitua le persone a prestazioni di altissimo livello, può succedere che a volte questo livello non possa sempre mantenersi alla stessa altezza.

Gli errori li commettono tutti, ma è chiaro che non si possa assolutamente criticare un campione come Handanovic››.

‹‹Il Chievo per me è sempre stata una favola sino alla retrocessione di due anni fa, nonostante i pochi investimenti. Qual era il segreto?››

‹‹Beh sicuramente tanti fattori, dal presidente all’ambiente, passando per il direttore Sartori che è stato una costante per tanti anni.

Un aspetto fondamentale però era il fatto che la società scegliesse prima l’uomo che il giocatore, a volte capitava di avere una squadra più “datata” rispetto alle altre, ma formata da giocatori di grande talento che ci permisero di salvarci per tanti anni.

Mi riferisco a ragazzi come Dainelli, Gamberini, Gobbi, Rossettini, Giaccherini, Castro, Birsa, Pellisier, ma anche a giovani interessanti come Vignato, Depaoli, Bani. Insomma una bella fortuna averli››.

‹‹Che sensazioni hai provato quando hai parato il rigore a Cristiano Ronaldo? Tra l’altro sei il settimo in Italia per rigori parati nella classifica generale: 17 rigori parati››

‹‹Ho perso qualche posizione negli ultimi anni. A parte le battute, il rigore di Ronaldo l’ho realizzato quando poi sono entrato nello spogliatoio, è stato come vincere una sfida: io contro di lui.

Dietro un rigore parato, battuto da Ronaldo o da un altro giocatore, c’è uno studio incredibile, ma io sono sempre stato predisposto a parare i rigori.

Un bel po’ di anni fa quando ho giocato sia in Grecia che in Spagna, non c’erano le attrezzature che ci sono adesso quindi, essendo straniero e non conoscendo quasi nessun giocatore di quei campionati, il giorno prima della partita mi facevo dare la lista della squadra avversaria, per poi andare su YouTube e cercare i vari rigori e le varie punizioni per analizzarle, vi era già uno studio, poi più si va avanti e più si va a studiare questi dettagli.

Per ogni partita che andavamo a vedere, l’allenatore dei portieri sceglieva tutti i vari rigoristi presenti nella squadra avversaria, tutti i rigori tirati…

Da lì poi si iniziava a vedere qual era la porta dove andavano a calciare, se giocavano in casa o fuori casa, il minuto del rigore, il risultato, se il giocatore arrivava da un momento positivo, se la squadra stava vincendo o perdendo, se la squadra stessa arrivava da un momento positivo o negativo… I fattori erano tanti. ››.

‹‹Tu cercavi di dialogare e in qualche modo di innervosire l’avversario dagli undici metri oppure no?››

‹‹Dipendeva da chi era il tiratore, ti racconto un aneddoto, che ho scritto anche nel libro, riguardante Mutu.

Avevo notato che tutte le volte che c’era un portiere che gli dava fastidio, che lo provocava, lui gli faceva il cucchiaio così, temendo un grande campione come lui, anche io provai a stuzzicarlo per farmi fare il cucchiaio e pararglielo senza tuffarmi.

Era un Cesena- Chievo e appena l’arbitro fischiò rigore io andai a prendermi la palla, lui allungò poi la mano per farsela dare, ma invece di dargliela in mano gliela feci cadere sui piedi.

Mutu allora mi disse di fare poco il fenomeno perché mi avrebbe fatto il cucchiaio e io gli risposi di fare attenzione perché glielo avrei parato di petto.

Posizionandomi in porta pensai che non avrebbe mai potuto farmi lo scavino dopo avermelo detto, allora visto che nelle statistiche che avevamo Mutu calciava 8 volte su 10 alla destra del portiere, mi buttai lì e glielo presi.

Per il resto della partita ci punzecchiammo, con tono scherzoso, sul fatto che io non fossi rimasto fermo e lui non avesse fatto il pallonetto.

Ci sono stati anche tanti altri episodi, alcuni giocatori li sfidavo guardandoli negli occhi, altri magari parlandoci.

Il primo rigore che parai al Chievo lo parai contro la Juventus a Iaquinta, eravamo già in svantaggio a causa di una grandissima rete su punizione di Del Piero.

Nel momento del rigore Alex e Vincenzo stavano discutendo su chi sarebbe andato a battere, allora anche io per stuzzicarli chiesi loro cosa avessero intenzione di fare e chi avrebbe battuto, strappandogli una risata.

Alla fine Del Piero lasciò il rigore a Iaquinta, riuscii a pararglielo, per poi subire gol dopo sulla ribattuta››.

‹‹Che rapporto avevi con Zamparini?››

‹‹C’era un ottimo rapporto, su tre anni e mezzo che sono stato là, per due anni e più ho fatto il capitano quindi vi era sicuramente un legame, ma sicuramente tutto nel rispetto del rapporto tra presidente e giocatore.

Lui era molto “vulcanico”, nell’ultimo mio anno ha cambiato 8 o 9 allenatori, è stata un’annata un po’ complicata.

Io comunque ho Palermo nel cuore perché è sempre stata nei miei confronti molto generosa, con me e con la mia famiglia, mi scrivono in tantissimi e li dovrò sempre ringraziare.

Vedere lo stadio Barbera pieno poi era da pelle d’oca, sono stato fortunato a far parte di quella società e a esser stato il capitano di quella squadra. Appena si potrà farò un salto a vedere il nuovo Palermo››.

‹‹C’è mai stata una trattativa che è sfumata nella tua carriera che magari nessuno ha mai saputo?››

‹‹Sicuramente, più di una. Sono stato tante volte vicino alla Roma, una volta vicino al Milan, una vicinissimo alla Juventus, ma anche vicino alla Fiorentina, alla Sampdoria e al Genoa.

Ho avuto un accordo con i rossoblù, purtroppo poi i due presidenti non trovarono l’intesa all’ultimo, al momento delle firme, e quindi saltò tutto.

Se devo essere sincero, fui molto vicino anche al Napoli, a fine carriera, quando gli azzurri fecero l’accoppiata Meret – Karnezis, avrei potuto vestire la maglia azzurra››.

‹‹Hai avuto un idolo da bambino, sia in porta che non?››

‹‹Il mio idolo era Diego Armando Maradona, sono cresciuto con lui. Come portiere invece ovviamente mio padre, poi quando smise ebbi la fortuna di conoscere Angelo Peruzzi, che fu allenato proprio da mio papà, e che divenne il mio idolo.

L’avrei guardato allenarsi per ore dietro quella recinzione. Faceva delle parate che a primo acchito sembravano semplici, poi una volta riviste ci si accorgeva della loro difficoltà e della loro qualità››.

‹‹Che squadra simpatizzi o simpatizzavi da bambino?››

‹‹Da bambino tifavo per il Napoli, essendoci Maradona.

Tu pensa che quando mio papà ebbe la fortuna, o sfortuna, di incontrare Maradona, gli dissi il giorno prima della partita di portarmi la maglia, che lui sarebbe stato il migliore in campo ma che avrebbe perso, e Diego sarebbe riuscito a segnargli due gol…

Così accadde.

Ora che sono più grande chiaramente devo tutto al Torino, perché fui scartato dalla Juventus a 17 anni e il Torino credette in me, dandomi poi la possibilità di debuttare in Serie B e in Serie A.

Posso dire quindi di simpatizzare il Torino, per la possibilità che mi ha dato di giocare nel calcio che conta››.

‹‹Hai giocato con Dybala al Palermo. Si percepiva già che fosse un potenziale fenomeno?››

‹‹Sì, eravamo anche vicini di casa. Si percepiva il suo grande talento, poi quando è andato alla Juventus ha fatto sicuramente il salto di qualità.

Nel primo anno fece grandissime cose, come lo scorso anno, ha avuto una crescita incredibile, spropositata, ovviamente c’è differenza tra giocare con la Juventus o con il Palermo, con tutto il rispetto per quest’ultimo.

Più si alza la difficoltà, più si diverte››.

‹‹Come ti vedi invece tu come attaccante?››

‹‹L’anno scorso ho giocato 3 partite in Seconda Categoria, mentre quest’anno ho fatto sempre l’attaccante in Promozione, giocando meno a livello di minutaggio, ma segnando un gol.

È chiaro sono categorie belle, perché il calcio è bello in qualsiasi categoria.

Giocare in Serie A è unico, ma posso garantire che vedere la passione che ci mettono i ragazzi in Seconda Categoria, nel partire la mattina alle 6 per andare a lavorare, per poi arrivare direttamente al campo dopo il lavoro per stare sino alle 22 ad allenarsi, fa capire la vera passione per questo sport››.

‹‹Hai detto una cosa bellissima, lo penso anche io. Alla fine è proprio la passione che spinge chi gioca in quelle categorie…

C’è qualcosa che ti ha bloccato, che ha potuto non farti fare il salto di qualità che meritavi?››

‹‹No, assolutamente. Mi ritengo una persona fortunata perché, come ho detto tante volte, ho fatto diventare lo sport, l’hobby più bello al mondo, il mio lavoro, riuscendo a raggiungere alti livelli››.

‹‹Uno dei più grandi attaccanti di provincia della Serie A è stato sicuramente il tuo compagno Sergio Pellissier…››

‹‹Certo, Sergio sicuramente non lo scopro io. È stato uno dei compagni con cui ho totalizzato più presenze, c’è un legame forte tra noi.

Siamo due ragazzi del 1979 che hanno battagliato cercando di contrastare le big, un po’ come Davide contro Golia, noi cercavamo di ritagliarci il nostro spazio, di dire la nostra, seppur giocando in una squadra piccola››.

‹‹I tuoi guanti preferiti?››

‹‹Guarda alla fine i guanti delle grandi marche sono quasi tutti uguali, non c’è una grande differenza.

Io negli ultimi anni ho usato “Ho Soccer” perché mi davano la possibilità di realizzarli come piacevano a me, di scegliere alcuni materiali e li disegnavo io, quindi per me era un divertimento, una sfida.

Non contano tanto i guanti, ma contano le mani che vanno messe dentro (ride ndr)››.

‹‹Ti piacerebbe in futuro fare l’allenatore dei portieri?››

‹‹No, per niente. Mi piace di più il ruolo dirigenziale, ho già dato in campo››.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pietro Caneva
Mi sono occupato dell'intera stesura di "Domenica alle 15. Il calcio al tempo dei social" di Luca Diddi (ex Match Analyst dell'Hellas Verona e CEO di Calciatoriignoranti)

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