Manuel Rui Costa, l’ultimo romantico

Il fantasista portoghese è stato qualcosa di diverso.

Se il calcio fosse una raccolta di poesie, sarebbe sicuramente l’autore più romantico. Se fosse una galleria d’arte, il pittore più profondo.
Manuel Rui Costa è stato forse l’espressione massima del romanticismo applicato al calcio. Dal Benfica al Milan, passando per Fiorentina e nazionale portoghese: ha sempre lasciato il segno.

Si mostrava umile ed elegante, sinuoso e aggraziato, innamorato di quel pallone che portava a spasso a testa in su, quasi danzandoci sopra. Sì, testa alta e schiena dritta, il leitmotiv della sua carriera.

Credetemi di “assistmen” così non se ne sono visti molti negli ultimi trent’anni.

Gli inizi nel suo Benfica da predestinato – a scoprirlo da ragazzino fu il leggendario Eusebio in persona – poi Fiorentina, tanta Fiorentina. Momenti esaltanti quelli in viola in coppia con “El rey leonGabriel Omar Batistuta: una città ai loro piedi, e l’affetto della gente per lui è un qualcosa di eccezionale.

“Quando andavo a fare allenamento, lasciavo la macchina (una umile Mitsubishi rossa n.d.r.) davanti al Bar Marisa, fuori dal Franchi, per poter godere del calore dei tifosi una volta uscito dagli spogliatoi…”

Basta poco tempo per diventare uno di loro: ama Firenze e le sue bellezze, si sente come a casa, sta vivendo un sogno.

 

“Firenze mi è entrata nel sangue”. 

In sette stagioni colleziona 276 presenze e 50 gol, vincendo anche due coppe Italia (1996 e 2001) e una Supercoppa italiana (1996): sono gli ultimi trofei vinti dal club viola.

 

Crack Viola, Rui in lacrime

 

Poi però il presidente Vittorio Cecchi Gori rompe il giocattolo (i debiti per il club toscano ammontavano a oltre 300 miliardi di lire) e Rui è costretto ad andarsene per salvare la sua amata Fiorentina.
Siamo nell’estate del 2001: saranno settimane turbolente.

 

“Quando leggevo che la Fiorentina doveva vendere tutti, ero sicuro che la cosa non mi riguardasse… Sono stato male, molto male. Ho pianto…”.

Qui la sua classe se la prende il Milan, che sbaraglia la concorrenza di Parma e Lazio pagando ben 85 miliardi delle vecchie lire pur di assicurarsi le sue prestazioni (è ancora oggi l’acquisto più costoso nella storia del club).

 

Era rossonera

 

L’epopea in terra milanese sarà piena di trionfi: con lui arrivano Filippo Inzaghi e un giovane Andrea Pirlo, l’anno seguente Clarence Seedorf, Rivaldo e Alessandro Nesta. Il Milan in poco tempo diventa una squadra piena zeppa di fuoriclasse e con essa il portoghese vince tutto quello che uno della sua classe merita (su tutte la Champions League 2003 vinta ai rigori contro la Juventus, e lo scudetto del 2004).
Dopo cinque stagioni e più di duecento presenze, l’esplosione di Ricardo Kakà – a cui il “Musagete” ha fatto umilmente da maestro – aiuta Manuel a prendere la decisione di far ritorno a casa, al Benfica, per chiudere la sua meravigliosa e romantica carriera da “dieci” d’altri tempi. Una volta fatto ritorno a Lisbona, il destino vorrà che in Champions League ritrovasse proprio la sua ex squadra rossonera: l’atmosfera di San Siro quella sera quando il numero 10 portoghese mise piede in campo fu veramente da brividi. A dimostrazione che uno come lui non è stato un calciatore normale da quelle parti. Così come non lo è stato ovunque ha messo piede nei suoi diciotto anni di carriera.

Per tanti è l’ultimo dei “romantici”, inteso come modo di giocare e di essere, per altri è stato un idolo.

Per qualcun altro ancora è stato un sogno, e io sono uno di loro.

 

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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