Beppe-gol, “Signori” si nasce

Giuseppe Signori

Tre volte capocannoniere della Serie A, Giuseppe Signori è il nono marcatore di sempre nella storia della massima serie italiana

 

Chi l’avrebbe mai detto nei suoi primi anni di carriera, che quel piccolo trequartista di Alzano Lombardo partito dalla serie D un giorno sarebbe entrato nella top ten dei marcatori di tutti i tempi della serie A (nono posto con 188 gol, a pari merito con Alessandro Del Piero) e diventato il terzo miglior marcatore della storia della Lazio (127 i gol in tutte le competizioni, dietro soltanto a Silvio Piola, 149 gol, e Ciro Immobile, 155)?

Negli anni novanta Giuseppe Signori è stato indubbiamente uno dei più forti calciatori avuti nel nostro campionato, simbolo e capitano di una Lazio sempre in lotta per le prime posizioni, anche se diventata “vincente” soltanto dopo l’addio del suo numero 10.

È forse questo il rimpianto maggiore di Beppe-gol, quello di non esser riuscito a portare nemmeno un trofeo nella bacheca del club che lo ha reso grande. Ci è riuscito invece a livello individuale, conquistando per ben tre volte il titolo di Capocannoniere del torneo (1992-93 con 26 gol, 1993-94 con 23, 1995-96 con 24, quest’ultimo ex equo con Igor Protti) ed entrando dritto nella storia. Soltanto un attaccante infatti è riuscito a fare meglio (Gunnar Nordhal, ben cinque volte re dei bomber in Serie A), mentre in sette sono riusciti nella sua stessa impresa (Meazza, Aldo Boffi, Riva, Pulici, Platini, Pruzzo e Immobile con tre titoli).

Gli inizi

Dopo aver giocato diversi anni nelle giovanili dell’Inter, Beppe viene lasciato libero all’età di 16 anni: “bravo, ma troppo basso“.

Lapidario all’epoca il giudizio del club nerazzurro, che ha scelto di non credere più nel suo talento, preferendo in quel ruolo quello di un’altra giovane promessa, Massimo Ciocci, che poi non avrà la stessa carriera del funambolo biondo. “Fu una vera e propria scottatura. Non c’era più spazio per me, mi mandarono a Leffe, dove poi rimasi tre stagioni, tra interregionale e C2. All’inizio fu un brutto colpo, ma poi è stato lì che ho imparato cosa volesse dire sacrificarsi, perché al pomeriggio mi allenavo ma di mattina andavo a lavorare nell’azienda di macchine tessili del presidente“.

Farsi le ossa nei campionati minori risulterà fondamentale per la sua crescita, che passerà per i tre anni di Leffe (un anno in Serie D e due di C2), per i due di Piacenza tra C1 e B (intervallati da un prestito al Trento in C1) e soprattutto dalle tre stagioni di Foggia, dove con Zdenek Zeman spiccherà definitivamente il volo.

È stato il tecnico boemo infatti a cambiargli negli anni foggiani ruolo e vita. “Al mio arrivo mi salutò con un ‘ciao bomber’. In quel momento pensai si fosse confuso, visto che avevo segnato appena cinque gol in B e otto in C. Potevo essere tutto meno che un bomber. Lui aveva visto oltre. Per la sua idea di calcio avevo le caratteristiche per diventarlo, ma io ancora non lo sapevo...”.

Con i satanelli rossoneri, Signori disputerà tre stagioni fantastiche che culmineranno con la tanto sognata promozione in Serie A, che mancava a Foggia da ben quattordici anni.

Nel suo primo anno in massima serie, stagione 1991-92, Beppe la butta dentro 11 volte contribuendo, insieme ai suoi gemelli Ciccio Baiano e Rambaudi – con cui formava lo storico “tridente delle meraviglie” – ad uno storico nono posto del Foggia, posizione raggiunta solo in altre due occasioni nella storia del club (1964-65, 1993-94).

Lazio, amore a prima vista

Ed è qui che entra in gioco la Lazio del neo patron Sergio Cragnotti, alla ricerca di un calciatore capace di infiammare una piazza intristita da ormai troppi anni: sarà amore a prima vista.

Per portare Signori all’ombra del Colosseo il club capitolino spende 8 miliardi di lire, cifra considerevole per l’epoca. Le aspettative erano certamente tante, ma nessuno probabilmente immaginava che al suo primo anno potesse segnare 26 reti, vincere il titolo di capocannoniere e riportare il club in Europa dopo sedici lunghe stagioni.

Cinque stagioni e mezzo (un quinto, due quarti, un terzo e un secondo posto), 127 gol, tre titoli di capocannoniere, cinque partecipazioni consecutive alla Coppa Uefa: la rinascita laziale non può non essere attribuita alle performance di Giuseppe Signori, vero idolo dei tifosi. Tifosi che non esiteranno a scendere in piazza quando il presidente stava per vendere il loro simbolo al Parma di Callisto Tanzi.

Era l’11 giugno del 1995: 4000 tifosi affollarono le strade nei pressi della sede cantando “Signori non si tocca”. Per la prima volta la rivolta di un gruppo di tifosi riesce a bloccare una cessione. Ci avevano provato con Baggio i tifosi della Fiorentina qualche anno prima, senza successo. Stavolta la società accolse le richieste dei tifosi inferociti e, nella voce del suo presidente onorario Dino Zoff, annunciò: “Posso comunicarvi che Signori è stato tolto dal mercato e rimarrà alla Lazio almeno fino a giugno 1998, secondo scadenza del contrattuale”.

In realtà se ne andrà però con qualche mese di anticipo.

Infatti l’arrivo di Sven Goran Eriksson e Roberto Mancini nel 1997, la difficile convivenza in campo tra i due fantasisti, sommata probabilmente alla panchina nel derby contro la Roma, portano alla rottura definitiva: nel mercato di dicembre Signori lascia definitivamente la Lazio e approda alla Sampdoria. E per uno strano scherzo del destino, i biancocelesti a fine stagione vinceranno la Coppa Italia, l’anno seguente la Coppa delle Coppe e la Supercoppa italiana, mentre due stagioni dopo il secondo scudetto nella storia del club, un’altra coppa Italia e la Supercoppa europea. Avrebbe meritato quantomeno di alzarne almeno uno lui da capitano per ciò che ha dato alla Lazio.

Dal possibile tramonto a una nuova alba

La parentesi blucerchiata sarà davvero un incubo. Non per la gente, non per la squadra, non per il club: i problemi erano di altra natura. “Per colpa sicuramente dell’operazione ma non solo. C’era anche un problema di testa, che non funzionava. Un problema personale, Sono andato lì con la mentalità sbagliata, e per questo mi assumo tutte le responsabilità dei miei errori. Altro che colpa dei tifosi o della città: colpa mia. L’approccio mentale era sbagliato, il resto è crollato di conseguenza“.

A trent’anni Signori sembra ormai un ex calciatore, afflitto da problemi fisici e da una sorta di sconforto. Poi, però, la piazza che non ti aspetti, quella che già l’anno precedente aveva rilanciato un altro grande del calcio italiano, Roberto Baggio: Bologna.

In Emilia-Romagna Beppe rinasce completamente, grazie alla sua ritrovata serenità e grazie anche a quel signore in panchina, esperto di rilanci, Carlo Mazzone.

Con il Bologna alla sua prima stagione segna 23 gol complessivi tra campionato e Coppe, vince l’Intertoto e raggiunge le semifinali di coppa Italia e coppa Uefa, in quest’ultima eliminati dal Marsiglia soltanto dopo due pareggi (il trofeo lo vincerà poi il Parma).

Contestazione e ultimo anno

Saranno sei anni di amore incondizionato con la gente, che anche qui scenderà in strada per contestare il presidente Gazzoni quando annuncerà di non poter rinnovare il contratto del capitano, ritenuto eccessivo in rapporto all’età (34 anni) e ai problemi fisici che spesso lo colpivano. La contestazione fuori dagli studi èTV, dove il patron felsineo aveva spiegato le ragioni della decisione, è storia. Come lo è la puntata di una trasmissione di nome “Il pallone nel sette” della stessa emittente televisiva, dove Signori firma in bianco simbolicamente per restare un altro anno a Bologna. Lo farà, per un’ultima stagione, prima di chiudere la carriera tra Grecia e Ungheria.

Il 9 maggio 2004 giocherà contro il Lecce la sua ultima partita in rossoblu allo stadio Dall’Ara (l’ultima in assoluto la giocherà al Bentegodi di Verona la settimana seguente). Sugli spalti spuntano una gigantografia del mito e uno striscione con su scritto “In questo campo sarà finita, ma al tuo fianco a vita. Grazie signor Capitano!“, con la curva che per tutta la partita non smette di intonare il coro “prendi il palo, la traversa, Beppegol, Beppegol! Tira giù la porta, tira giù la porta, facci un gol, facci un gol!” sulle note di San Martino Campanaro.

Già. Perché Beppe-gol, le porte, le tirava giù per davvero.

 

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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