Riviviamo la carriera di uno tra i più grandi fuoriclasse della storia del nostro campionato
“Voglio riportare la Juventus in A, perché lì è dove merita di stare. La mia Champions League ora è la Serie B”. Saranno queste le parole che Nedved pronuncerà giunti al termine del processo Calciopoli. Affermazioni forti, dettate da un sentimento di riconoscenza, da un’indole, che non conosce la parola sconfitta.
A pronunciarle non è un giocatore qualunque, ma quello che, tre anni prima della condanna ai danni dei bianconeri per illecito sportivo, è stato nominato da France Football come il più forte del mondo. Quello che, grazie alle sue giocate, ha trascinato la Vecchia Signora nel 2003 a un passo dalla vittoria della terza Champions League della sua storia. Quello che, all’ovazione dei suoi tifosi, ha sempre risposto con la più totale abnegazione sul campo.
E allora queste dichiarazioni sono il biglietto da visita perfetto per quei valori che prescindono da trofei e ambizioni, per quegli uomini che, oltre a campioni, meritano di essere chiamati bandiere.
Tra questi, Pavel Nedved.
Gli inizi
Cresce in una piccola cittadina della Repubblica Ceca chiamata Skalnà, mentre, calcisticamente parlando, muove i primi veri passi nello Dukla Praga. Qui, accumula presenze tra i professionisti (totalizzando 3 reti in 19 partite), e sfrutta l’esperienza come trampolino di lancio per raggiungere presto il club più titolato del Paese: lo Sparta Praga.
Dopo appena una stagione tra i grandi, infatti, lo Železná Sparta (Sparta di Ferro) accoglie nelle sue fila l’allora diciottenne Pavel, prelevandolo dal club di Praga. È un sogno che si avvera, il raggiungimento dell’elite del campionato ceco, e da lì a breve, anche dei primi trofei.
Con la nuova maglia, Pavel colleziona da subito vittorie su vittorie, imparando, oltre che l’arte del duro lavoro, anche e soprattutto il significato del verbo vincere. Una costante della sua carriera.
In quattro stagioni con i Rudí, vince tre campionati cechi e una Coppa nazionale, siglando da centrocampista ben 23 reti in 98 partite.
La vittoria più grande, però, sarebbe stata la sola convocazione in nazionale per gli Europei del 1996…
Gli Europei
In Inghilterra la Repubblica Ceca parte come sfavorita, per molti, vittima sicura del girone che la vedeva lottare con Germania (vincitrice finale) e Italia per un posto nella fase ad eliminazione diretta. Dopo la sconfitta nella gara d’esordio con i tedeschi, però, la nazionale guidata da Dusan Uhrin ha un unico obiettivo: cercare l’impresa contro gli italiani per portare a proprio vantaggio lo scontro diretto.
Impresa, compiuta il 14 giugno.
In una partita che suonava già di spareggio, a fare la differenza in campo per i cechi è un giovane centrocampista alla sua prima grande competizione in carriera. Un ragazzo con il numero 4 sulle spalle, un ragazzo, di nome Pavel Nedved…
È proprio lui, infatti, a siglare la prima rete dell’incontro: con un inserimento centrale, e un tocco di esterno che spiazza Peruzzi al minuto 5. È il primo gol di Pavel nella Nazionale maggiore, il primo atto di una cavalcata che l’avrebbe visto protagonista sino agli atti conclusivi del Campionato Europeo.
La squadra rivelazione di Uhrin, infatti, riesce a battere gli Azzurri per 2-1 (sfruttando l’ingenua espulsione di Apolloni), e a ottenere nella partita successiva il passaggio del turno del Gruppo C. Da quel momento, chiunque si presenti sul cammino dei cechi, esce sconfitto: prima il Portogallo ai quarti di finale, poi la Francia in semifinale (con una partita vinta ai rigori nella quale Nedved verrà nominato man of the match).
A far sfumare il sogno sarà, come nel match inaugurale, ancora una volta la Germania.
In una finale decisa dal golden goal, in una finale che mai potrà cancellare i meriti della nazionale ceca.
L’arrivo in Italia
Le giocate di Pavel durante il cammino europeo non passano inosservate, anzi. In molti calamitano gli occhi sul talento ceco, tentando di convincere le proprie società ad acquistarlo al più presto. Ad aver la meglio sulle le pretendenti, però, è un club italiano, la sponda azzurra della Capitale: la Lazio.
Sotto la guida di Zdeněk Zeman (allora allenatore dei biancocelesti che lo ha voluto fortemente) Nedved esprime da subito il suo potenziale, senza lesinare grandi giocate, e reti da fuoriclasse. Tutto l’ambiente è convinto: Pavel condurrà la squadra a grandi successi.
Una previsione azzeccata, ma non confermata alla prima stagione. Nonostante i 7 gol accumulati dal nuovo arrivato, infatti, la Lazio conclude l’anno senza trofei.
Presto, però, sarebbero arrivati anche quelli…
Terminata l’avventura di Zeman, infatti, giunge sulla panchina biancoceleste lo svedese Sven Goran Eriksson. Il nuovo tecnico costruisce da subito un progetto vincente: in una sola annata conquista la Coppa Italia e raggiunge la finale di Coppa Uefa (persa poi a Parigi contro l’Inter).
Si tratta della svolta, l’inizio di un viaggio che nel giro di tre stagioni avrebbe riportato addirittura il tricolore nella capitale.
Sì, perché dopo la storica vittoria della Coppa delle Coppe (datata 19 maggio 1999), propiziata da una meravigliosa e decisiva rete di Nedved nella sfida contro il Maiorca, la stagione seguente i biancocelesti ottengono il successo in campionato.
In un’impresa che ha dell’incredibile, in una conquista che il 14 maggio 2000 diventa realtà: la Lazio è Campione d’Italia.
La Vecchia Signora
La Juventus, che si era vista strappare dalle mani lo scudetto dalle due squadre della Capitale nelle ultime due stagioni (la Lazio nel 2000, e la Roma nel 2001), nell’estate del 2001 vuole a tutti i costi acquistare un centrocampista degno di rimpiazzare un fuoriclasse come Zinedine Zidane (ormai partente verso Madrid).
Il prescelto, è proprio Pavel Nedved.
Dopo cinque stagioni con la Lazio (con 33 reti totalizzate in 138 partite), e settimane di corteggiamenti da parte di Luciano Moggi, la Furia Ceca ha deciso: Torino sarà la sua nuova piazza.
Alla Vecchia Signora difficilmente si riesce a resistere, soprattutto alla rosa bianconera di quel periodo, dove sono presenti campioni del calibro di Alessandro Del Piero, David Trezeguet, Gianluigi Buffon, mentre, in panchina, un vincente come Marcello Lippi.
Alla sua prima stagione a Torino, però, il centrocampista ceco fatica a trovare la posizione adatta nello scacchiere bianconero: in un primo momento viene schierato sulla fascia nel più classico dei 4-4-2, poi, vista la difficoltà ad ambientarsi, nel vertice alto di un centrocampo a rombo.
Da quel momento, in pochi sarebbero riusciti a fermarlo.
La consacrazione
Reti e giocate da campione non tardano ad arrivare, i successi, tanto meno. Dopo tre anni a secco, infatti, la Juventus ritrova la vittoria del tricolore il 5 maggio 2002, grazie a una vittoria contro l’Udinese all’ultima giornata, accompagnata dalla simultanea sconfitta dell’acerrima nemica Inter contro la Lazio.
Ma si sa, nel calcio, le gioie vanno di pari passo con i dolori, e Pavel, l’anno seguente, lo capirà bene.
Dopo esser stato il protagonista assoluto di una meravigliosa cavalcata europea, infatti, segnando nelle partite decisive di Champions League contro Barcellona (ai quarti) e Real Madrid (in semifinale), e trascinando la Juve alla finale di Wembley, arriva la doccia fredda. Gelata. Un cartellino giallo di troppo, negli ultimi minuti della semifinale di ritorno contro il Real, gli costerà la storica finale tutta italiana contro il Milan.
È un duro colpo, un’assenza che, per molti, risultò decisiva per la sconfitta bianconera, arrivata ai rigori contro i rivali rossoneri.
Nel dolore, però, grazie a quella stagione piena di soddisfazioni e allo stesso tempo sofferenza, arriva per Pavel il più grande riconoscimento calcistico individuale: la giuria di France Football lo decreta miglior giocatore del mondo, e gli consegna il Pallone d’oro. Si tratta di una gioia immensa, l’ottenimento di un premio sognato da qualunque bambino che gioca a calcio: a detta di Nedved, un riconoscimento per il duro lavoro.
Nonostante il premio appena ricevuto, però, il fuoriclasse ceco ha ancora un obiettivo: riportare la Coppa dalle grandi orecchie a Torino.
Un obiettivo, che non riuscirà mai a raggiungere.
Calciopoli e l’addio al calcio
Nelle stagioni seguenti, nonostante le vittorie sul suolo italiano, i bianconeri faticano in Europa, incespicando più volte tra ottavi e quarti di finale, per poi, il 25 luglio 2006, vedere il sogno infrangersi del tutto. In seguito allo scandalo Calciopoli, infatti, la Corte Federale emette la propria sentenza: la Juventus deve retrocedere in Serie B.
È una doccia fredda, la quasi certezza da parte dell’allora trentaquattrenne Nedved, di non poter più raggiungere quel traguardo tanto desiderato, o almeno di non poterlo più fare con la maglia bianconera.
Le offerte per lui non mancano, ma la possibilità di rimanere impresso per sempre nei cuori dei tifosi e della famiglia Agnelli, prevarica sulle ambizioni europee.
Dopo aver ricondotto la Vecchia Signora in A, infatti, Pavel decide di giocare ancora due stagioni per poi concludere la propria carriera in bianconero.
Il 31 maggio 2009, nello stadio Olimpico di Torino, Nedved saluta per sempre il calcio giocato.
Con l’ultima partita della sua carriera, con l’ultimo infinito applauso di una tifoseria, che mai smetterà di amarlo.