La triste storia di Robin Friday, “The man don’t give a fuck”

Robin Fiday, foto "Western Mail Archive"

La storia del calciatore più forte che non avete mai visto giocare

 

Una carriera corta tanto quanto la sua esistenza.

Friday vivrà veloce e morirà giovane. La sua carriera professionistica è durata pochissimo, non ha neppure mai giocato una partita nel massimo campionato inglese… Eppure è considerato uno dei più grandi talenti che si siano mai visti in Inghilterra, oltre che il più grande giocatore di sempre del Reading e del Cardiff City.

Si ritirerà a soli 25 anni, dopo aver giocato soltanto cinque stagioni da professionista tra Fourth, Third e Second Division, e morirà a 38, nel 1990, a causa di un’overdose.

Ora, sono sicuro che molti di voi si staranno chiedendo: può un calciatore così, senza una carriera altisonante, senza avere una presenza in First Division e nemmeno una convocazione in nazionale, essere ricordato come una sorta di leggenda, persino in altri paesi?

Provo a rispondere nella maniera più semplice possibile: sì, se comunque, nonostante tutti i problemi, riesci a trasmettere emozioni su un campo da calcio con il pallone tra i piedi, che è poi l’essenza vitale di questo sport.

Il calcio nasce dalla strada ed è a portata di tutti, basta una palla di stoffa e dei ramoscelli per inscenare una partita. Non è e non può essere limitato alla gloria raggiunta, ai semplici trofei vinti in carriera, e soprattutto è emozione, che anche un calciatore delle serie minori a volte può regalare.

Gli inizi

Robin, insieme a suo fratello gemello Tony, nasce e cresce in una famiglia operaia ad Acton, nella periferia di Londra degli anni ’50 e ’60.

Si appassiona al calcio sin da piccolissimo, il suo talento lo notano subito tutti e inizia a giocare per varie scuole calcio della capitale inglese.

I suoi problemi esistenziali e caratteriali, però, lo portano a ritrovarsi a 16 anni fuori dai vari settori giovanili londinesi, quindi a giocare in una squadra amatoriale, per poi finire, poco tempo dopo, in carcere. Rapine, furti, droga prendono purtroppo il sopravvento sul suo enorme talento.

Nella sua adolescenza infatti – più o meno nel periodo in cui ha anche iniziato a far uso di droga – ha fatto dei periodi di prova nelle Academy di Crystal Palace, Queens Park Rangers e Chelsea: nessuno di loro però, se l’è sentita di puntare sul giovane sì talentuoso, ma troppo ribelle, anarchico e indisciplinato.

Robin lascia così la scuola e si diletta in vari lavoretti come intonacatore e lavavetri, prima che i problemi con la legge – principalmente furti – lo portassero ad essere recluso 14 mesi nel carcere minorile di Feltham.

Le poche parole di papà Alf sul figlio, riportate in un articolo del Mirror, descrivono in maniera netta e chiara quale fosse il problema più grande di Robin: “A lui non importava niente di niente”. E quando non ti importa di nulla, è dura dar peso e valore alle cose.

Giovane padre

Poco dopo il suo rilascio, lui e la sua ragazza coetanea, Maxine Doughan, hanno un figlio, Nicola, il che lo porta a sposarsi quando non ha nemmeno 18 anni.

Nei tre anni successivi, Robin inizia ad arrotondare con il calcio nella Isthmian League, giocando per squadre semi-professionistiche come il Walthamstow Avenue, l’Hayes e l’Enfield, mentre lavora a tempo pieno.

Già allora, nonostante sia giovanissimo, ha già la reputazione del “drogato ubriacone” per niente affidabile. Ma il suo primo contatto con la morte non ha nulla a che fare con l’alcol o le sostanze stupefacenti.

Nel 1972, infatti, mentre cerca di liberare una fune di sollevamento su un’impalcatura, cade su un grosso spuntone, che lo trafigge nella parte posteriore.

La punta arriva fino allo stomaco, mancando di poco un polmone.

Fortunatamente nessun punto vitale viene toccato e Robin può così tornare a giocare dopo qualche mese.

La prima opportunità

Alla fine del 1973, proprio mentre è “dietro le sbarre”, Robin emerge come calciatore. Il manager del Reading, Charlie Hurley, lo vede giocare: è amore a prima vista.

Nonostante tutte le recensioni negative fornitegli sul suo conto dagli addetti ai lavori – solite frasi come “con lui è tempo perso”, “non è affidabile”, “è ingestibile e troppo discontinuo” eccetera eccetera – per Hurley è una scommessa che vale la pena fare.

Gli anni al Reading saranno un qualcosa di mai visto in quel club, né prima, né dopo Robin. Alterna prestazioni memorabili a serate da “una notte da leoni”.

Al primo allenamento con la prima squadra litiga con diversi compagni, costringendo l’allenatore a spedirlo nelle riserve. Ma la squadra non se la passa bene, sta per retrocedere, così il mister le prove tutte, anche quella di affidarsi al suo talento ribelle. Una volta “riammesso”, il suo impatto è impressionante.

Tanti giornalisti e tifosi raccontano di prodezze, dribbling spettacolari, reti d’autore, che porteranno ad una salvezza insperata del club, diventando così idolo indiscusso dei tifosi.

Incontenibile però continua ad esserlo soprattutto fuori dal campo: cacciato da numerosi locali, spesso si presenta ubriaco e nudo nei pub. George Best, in confronto, era un “signore”… Il Reading non potendone più, lo manda via. Lo acquista il Cardiff, e lì, a livello comportamentale, le cose non è che andranno meglio.

Ma è proprio con il club gallese che diventerà, in un certo senso, storia del calcio inglese.

Cardiff City

È il 1977. Il Cardiff, che lotta per non retrocedere, gioca contro il Luton, in corsa invece per salire di categoria.

Robin, in uno scontro di gioco, va a finire in modo duro contro il portiere. Prova a scusarsi, ma il portiere, Milija Aleksic, rifiuta. Friday impazzisce. Inizia così una sfida personale (soprattutto dialettica) nei confronti dell’estremo portiere.

Ma si danna anche per recuperare subito palla e, una volta riuscitoci, punta dritto verso la porta: il suo obbiettivo, Aleksic, è proprio lì, a portata di tiro. Con una finta lo dribbla, mettendolo facilmente a sedere, segnando poi a porta vuota.

L’esultanza è di quelle indimenticabili: mentre fissa il portiere rivale, in quel momento col sedere a terra, fa il gesto con le dita a V, che da quelle parti è paragonabile al nostro dito medio.

Un’istantanea che diventa iconica, tanto che anni dopo, i Super Furry Animals, un gruppo rock gallese, gli dedicherà persino la copertina della loro canzone “The man don’t give a fuck”, che racconta proprio del calciatore di Acton.

 

Immagine via video Youtube

 

Robin, comunque sia, continua a mostrare la sua fragilità e instabilità mentale e, dopo appena cinque stagioni giocate, decide che è ora di finirla con il calcio. Si ritira a 25 anni per tornare ad asfaltare strade, finendo a vivere in una casa popolare dove, nel 1990, a causa di un infarto da overdose, viene trovato morto a 38 anni.

Questa è la triste e assurda storia di Robin Friday, “il più grande giocatore che non avete mai visto” (titolo del libro di Paul McGuigan, bassista degli Oasis, dedicato proprio a Friday), ma che chi l’ha visto giocare, farà fatica a dimenticare.

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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