Claudio Garella ha vinto, anche “senza mani”

Da “Paperella” a “Garellik”: quanta vita, quanto calcio ha vissuto il portiere che parava coi piedi

 

Gli anni ottanta sono stati quelli in cui ha toccato il paradiso e raggiunto la gloria calcistica con Verona e Napoli, club con cui ha vinto i primi scudetti delle loro storie, grazie anche alle sue parate… con i piedi.

Sì, perché Claudio Garella – che il più delle volte, prima delle partite, scendeva in campo con una radiolina in mano per ascoltare Toto  Cutugno durante il riscaldamento – è entrato nella storia del calcio italiano non solo per le storiche vittorie, ma anche e soprattutto per il suo stile “particolare” di parare il più delle volte senza usare le mani.

Stile, che gli ha fatto guadagnare una delle sue celebri battute dall’avvocato Agnelli, vero “professionista” nel rilasciare dichiarazioni di questo tipo, tra il complimento e il pungente.

Per il compianto presidente bianconero, Garella era “il miglior portiere del mondo… senza mani”. Battuta, che lo stesso numero uno accettò col sorriso: “Per me è stato il complimento più bello. Con il suo umorismo coniò una definizione passata negli annali. Anche se non è vero che paravo soltanto con i piedi… Ma aver meritato una battuta da Gianni Agnelli è importante, significa aver lasciato un segno nel mondo del calcio”.

I tanti soprannomi

Oltre alla definizione dell’Avvocato, diversi sono stati i soprannomi affibbiatogli. Gianni Mura lo chiamò “Compare Orso”, per la poca eleganza che aveva tra i pali, per il giornalista veronese Valentino Fioravanti era invece “Garellik”, che lo accostò al famoso personaggio dei fumetti Diabolik per i suoi colpi incredibili. Come quelli compiuti in un Roma – Verona del 1985, l’anno del miracoloso scudetto dei gialloblu veneti…

Allo stadio Olimpico è un assedio giallorosso, Pruzzo e compagni provano in tutti a segnargli, ma la partita finisce 0-0. Di piede, di mano, di coscia, di tibia: quel giorno, Garellik respinge gli attacchi capitolini con tutte le parti del corpo possibili. Dicono che quel giorno abbia respinto pure le maledizioni che i tifosi romanisti gli lanciavano dagli spalti…


Gli inizi

Cresciuto nel settore giovanile del Torino, ha esordito in Serie A nel 1972-73, in un match contro il Lanerossi Vicenza. Quella, sarà l’unica presenza in granata, perché Claudio viene mandato a farsi le ossa a Casale in serie D con cui vince il campionato e torna nei professionisti. Dopo un anno di C con i nerostellati, passa al Novara in Serie B, prima del grande salto alla Lazio, con cui rimane per due stagioni. Dopo un primo anno passato a fare da secondo a Felice Pulici, nella stagione successiva il tecnico Luis Vinicio gli dà fiducia e maglia da titolare. Le cose, però, non vanno come sperato, perché diversi errori in successione provocano la contestazione della piazza e dei tifosi biancocelesti, che iniziano a chiamarlo “Paperella”.

In quel momento nessuno sa ancora che, “paperella”, diventerà per tutti “Garellik” qualche anno dopo…

 

La trasformazione

Dopo la cessione alla Sampdoria in Serie B, con cui gioca per tre stagioni, il passaggio all’Hellas Verona, sempre in cadetteria: un anno per conquistare la massima serie, altri tre per la gloria eterna.

Nell’85, infatti, gli scaligeri allenati da Osvaldo Bagnoli conquistano il primo e unico scudetto della storia: un’impresa destinata a riecheggiare per l’eternità sportiva.

Vittoria che gli permette di passare al Napoli di Diego Maradona, altro club che mai aveva vinto lo scudetto prima, e ripetersi: dopo un terzo posto nell’’86, in maglia azzurra vince un altro scudetto, il secondo della sua carriera. “Vincere due scudetti a Verona e Napoli è un’impresa eccezionale, non è cosa da tutti i giorni. Sono orgoglioso di esserci riuscito”.

Tra miracoli e… critiche

Tanti miracoli con i piedi, ma anche qualche errore di troppo, che costarono caro ai partenopei sia in campionato (nel match decisivo contro il Milan che poteva valere il secondo scudetto) che in Coppa Campioni (contro il Real Madrid). Garella è stato entrambe le cose, decisivo in entrambi i casi.

Ecco come nell’87 rispose a un’intervista a Gianni Mura su La Repubblica, uno di quelli che lo aveva criticato per lo stile sgraziato.

Mi chiamo Claudio Garella e sono passato dalle garellate a Garellik. Sono un uomo felice e un calciatore felice. Non chiedo giustizia alla critica, faccio parlare i risultati, che devo dividere con tutti i compagni, certo, ma per qualcosa c’ entrerò pure io.

Voi dico, dico voi giornalisti in generale, non ce l’ ho con lei che mi ha chiamato Compare Orso, anzi mi piace, voi dite che sono brutto, grasso, sgangherato, clownesco, antiatletico, un portiere da hockey eccetera. Io invece dico che sono un portiere vero e non invidio nulla a nessuno, nemmeno a Zenga che pure è il più bravo di tutti.

Zenga è stato per l’ Inter come il Garella dello scudetto a Verona. Se non c’ era lui, chissà dov’ erano, indietro dico. E se non c’ero io il Verona non vinceva lo scudetto. Mentre il Napoli con un altro al posto mio l’ avrebbe vinto ugualmente, questa è la mia verità.

Ammetto che è curioso, vinco gli scudetti dove non si sono vinti mai, a Verona e a Napoli, e Napoli è così diversa da Verona, la differenza che c’ è fra caldo e freddo, fra mare e montagna. Porto fortuna? Non lo so. So solo che ho vinto anch’io”.

Sì, hai vinto Garellik. E adesso puoi riposare sereno, perché quelle vittorie memorabili, che portano anche la tua firma, non te le toglierà mai nessuno.

 

 

 

 

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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