Alex Del Piero c’è sempre stato

Vittorie e sconfitte, gioie e dolori: ma lui ha sempre risposto presente

La sua storia inizia nella squadra della parrocchia della frazione in cui cresce, Saccon di San Vendemiano.

Quando l’età e i genitori glielo consentono, il piccolo Alex si iscrive nella scuola calcio del San Vendemiano. Basta poco a istruttori e dirigenti per capire che si ha davanti un ragazzo diverso, fuori dalla norma e fuori portata per una piccola realtà come la loro.

Padova

Così, a quindici anni, viene acquistato dal Padova, allora club di serie B.

Ma Padova sarà solo l’inizio di un percorso esaltante e sconfinato.
Perché, dopo un normale periodo di ambientamento, è proprio nelle giovanili biancoscudate che tutti riconoscono i segni di un talento smisurato.

È stato durante il mio secondo anno con i padovani che mi accorsi che potevo diventare davvero speciale: segnavo sempre” racconta nella sua autobiografia Giochiamo ancora.

Ricordo, un anno più tardi, la prima volta in uno stadio vero, l’Appiani, per una partita del campionato Allievi Nazionali contro il Milan: c’erano tremila spettatori, vincemmo 2-0 e io segnai una doppietta. Ecco, quella volta, dentro lo stadio pensai: Che bello!”

Inevitabile di lì a poco la promozione in prima squadra: è il 15 marzo 1992 e il diciassettenne Del Piero esordisce in Serie B allo stadio Celeste di Messina. Solo pochi mesi più tardi, il 22 novembre, realizza il primo gol tra i professionisti, nel 5-0 casalingo contro la Ternana.

È nata una stella

È mister Mauro Sandreani a buttarlo nella mischia sul 2-0, a poco meno di venti minuti dalla fine. Prima palla toccata ed è subito decisivo nell’azione che porta al 3-0. Poi, dopo un ottimo inserimento, realizza il 4-0 con un diagonale chirurgico e, come se non bastasse, entra anche nell’azione del 5-0. Ormai è chiaro: allo stadio Appiani di Padova è nata una stella.

Cominciano a volerlo tutti i più grandi club d’Italia, ma a spuntarla è la Juventus, che difficilmente si lascia sfuggire talenti di questa portata.

Il grande salto

Nel giro di due anni passa dai biancoscudati veneti a giocare nella Juventus, raggiungendo i massimi livelli del calcio mondiale.

A Torino in poco tempo diventa il faro della squadra, comincia a deliziare il pubblico e soprattutto a segnare, in tutti modi: di tacco, su punizione, “alla Del Piero”: Alex è una furia.

Nel 1995 è tris “scudetto – Coppa Italia – supercoppa italiana”, mentre nella stagione seguente conquista da protagonista prima la Champions League, poi la Coppa Intercontinentale contro gli argentini del River Plate, battendoli per 1-0.
Indovinate chi segna il gol decisivo?
Sì, Pinturicchio, con una rete delle sue che va a infilarsi all’incrocio.
Dieci anni dopo, poi, l’apice della Coppa del Mondo in Germania, a coronamento della sua immensa carriera.

Nel mezzo, però, tante cadute.

Prima le due finali di Champions League perse consecutivamente, poi quel maledetto giorno autunnale del 1998, dove il ginocchio cede.

Infine, la perdita del caro padre che lo segna nell’anima.

Su e giù, gioie e dolori, la storia della sua carriera. Ma nonostante tutto lui, per la Vecchia Signora, c’è sempre stato.

Nella vittoria contro l’Ajax che è valsa la seconda Champions League della storia juventina.
Nel trionfo giapponese contro i “Millionarios”.
Nelle tre finali perse contro Borussia, Real e Milan.
Negli anni in cui ha fatto la riserva alla coppia Ibra – Trezeguet.
In serie B.
Nei due anni dei settimi posti, passando per il giorno della standing ovation del Bernabeu o dell’inaugurazione del nuovo Stadium.
Nelle vittorie trionfali e nelle sconfitte dolorose.
Nella buona e nella cattiva sorte.

Alex c’è sempre stato.

Come per sempre sarà nei cuori di tifosi juventini e di tutti coloro che amano il calcio.

Perché quelli come lui, anche se hanno smesso da anni, non si dimenticano. Impossibile.

 

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Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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