Adolfo Pedernera: El maestro de la Máquina

La storia di una delle stelle più luminose del leggendario River Plate di metà secolo

“Chi è stato il migliore tra me, Maradona e Pelé? Si vede che non avete mai visto giocare Pedernera. Lui è stato un gradino sopra gli altri”. [Alfredo Di Stefano]

 

Muñoz – Moreno – Labruna – Loustau – Pedernera: sono questi i nomi del leggendario quintetto d’attacco del River Plate degli anni quaranta, quella fantastica squadra conosciuta da tutti gli appassionati di calcio come “La Maquina”, “la macchina”.

Oltre alle storie e ai video a disposizione, ci ha aiutato proprio Di Stefano a raccontarcelo, visto il suo grande amore per quell’incredibile squadra, soprannominata anche “Los Caballeros de la Angustia” (i cavalieri dell’angoscia) perché prima o poi ti segnavano e ti battevano.

 

Di Loustau, per esempio, diceva “che era un Gento più veloce”.

Labruna, del quale amava i baffetti alla Clark Gable, “aveva invece saputo giocare alla Puskas prima di Puskas”.

Poi “El Charro” Moreno, che per lui era un chiaro esempio di genio e sregolatezza.

Juan Carlos Muñoz, invece, era per la “Saeta rubia” il dribbling fatto persona, l’eleganza fatta calciatore. Il giocatore che nemmeno i tifosi rivali del Boca Juniors riuscivano a fischiare.

Infine c’era lui, Adolfo Pedernera, del quale era follemente innamorato.

Per quantificare l’amore nei suoi confronti, basterebbe leggere cosa ha risposto un giorno a chi gli chiedeva chi fosse più forte tra lui, Pelé e Maradona:

«Pelé, Maradona od io? Chi è stato il migliore tra noi? Si vede che non avete mai visto giocare Pedernera. Lui è stato un gradino sopra gli altri. Sopra tutti. Sempre.
Se oggi, dopo che ho vinto tutto, e ne ho viste di ogni colore, dopo che ho segnato a chiunque ed ho giocato al fianco dei migliori, se chiedete a me che cosa penso quando chiudo gli occhi e sussurro nella mia mente la parola ‘fùtbol’, io vi dirò che la mia testa non risponderà, mentre il mio cuore penserà invece sempre e solo ad una persona: Adolfo Pedernera. Lui per me è stato un maestro. È stato il calcio. Tutto questo, lo devo a lui. Il calcio lo veneri, sempre; perché così non ne incontrerà mai più».

Difficile trovare parole di elogio più belle per un calciatore, onestamente.

Oltre ad essere l’idolo di Di Stefano, Pedernera era il finalizzatore di quel fantastico collettivo guidato prima da Renato Cesarini (sì, proprio l’ex Juventus che ha dato il nome alla “Zona Cesarini”) e poi da José María Minella, una squadra capace di vincere ben quattro campionati, ma soprattutto di incantare in Sud America con il loro gioco esaltante e armonioso, fatto soprattutto di fitti passaggi in velocità e interscambi veloci di posizione.

Oltre a fare il centravanti, però, Pedernera è stato anche uomo dell’ultimo passaggio, una sorta di “falso nueve” ante-litteram, colui che arretrava spesso attirando su di sé le attenzioni dei difensori, facendo così da “specchietto per le allodole” per liberare spazio ai compagni.

 

Era soprannominato “El maestro”, in quanto qualsiasi posizione dell’attacco occupasse, che fosse centravanti, seconda punta o regista alto, lui giocava sempre con maestria. Sì, aveva sempre da insegnare. Dicono capitasse spesso di vedere partite intere in cui non sbagliava mai, nemmeno un passaggio.

 

Per circa un decennio è stata la stella più luminosa del River Plate e della nazionale argentina (con cui ha vinto ben tre Cope America), prima di trasferirsi in Colombia, ormai trentottenne, e lasciare spazio ad un giovane in forte ascesa che aveva proprio lui come idolo: Alfredo Di Stefano. Strano a volte il destino.

 

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
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