Era uno a cui non piaceva molto mostrarsi. Fatti tanti, chiacchiere zero: amava far “parlare” il campo.
Per quasi vent’anni è stato uno dei perni indispensabili e leader di quel fantastico Manchester United di Sir Alex Ferguson e, a detta di molti suoi ex compagni e colleghi, uno dei più forti centrocampisti della sua generazione.
Le parole di Xavi Hernández sono forse quelle che descrivono meglio il rosso inglese.
“Per me, e lo dico davvero, è il miglior centrocampista che abbia visto negli ultimi 20 anni. Ne parlavo con Xabi Alonso di lui. È spettacolare, ha tutto: visione di gioco, palleggio, l’ultimo passaggio… Non perde mai la palla! Un modello, tutti i giocatori amano il suo calcio”.
In molti piansero al suo addio al calcio, salvo poi ritrattare un anno dopo per aiutare il suo padre calcistico, Sir Alex Ferguson, in un momento di grande difficoltà per i Red Devils. Scelta che fece scalpore, tant’è che in molti ebbero da ridire. Uno su tutti Patrick Vieira che, pur portando rispetto per Scholes, lanciò una stoccata allo United.
“Il ritorno di Scholes mostra un po’ di debolezza e disperazione da parte del Manchester United, perché hanno dovuto riportare in campo uno di 37 anni…”
La risposta di Sir Alex non si fece attendere:
“Beh, se è disperazione riportare in campo il miglior centrocampista degli ultimi 20 anni, allora possiamo accettarlo!”.
Già, il migliore. A diventarlo, lo ha probabilmente “aiutato” e stimolato la voglia di voler dimostrare a tutti che, nonostante quell’asma fastidiosa e i problemi di “fisico” con cui ha dovuto convivere in fase adolescenziale – e che gli hanno complicato non poco i primi anni nelle giovanili dello United – ce l’avrebbe fatta.
La testimonianza
Ne è testimone Gary Neville, ex difensore e bandiera dei Red Devils nonché compagno di una vita di Paul.
A “Quickly Kevin; Will he score?”, Gary ha raccontato di quando lui, suo fratello Phil e Scholes furono scoperti dal club, e delle difficoltà affrontate dal suo amico al suo arrivo.
“Se mi avessero chiesto quale sarebbe stato il futuro di Scholes, avrei detto: Come può essere un giocatore da Man United? Era così piccolo, così leggero. Non aveva grande energia. Non aveva forza. Lo si poteva buttare giù facilmente perché era davvero leggero. Poi aveva l’asma. Non poteva correre molto. Non è mai stato veloce, e non ti avrebbe mai battuto per il ritmo. Guardavi gli altri giocatori e pensavi che Scholes non aveva le qualità fisiche per fare il calciatore”.
A pensarla così, erano anche i suoi allenatori nelle giovanili che, pur riconoscendone doti tattiche e tecniche, non prendevano quasi mai in considerazione il giovane rosso per una eventuale titolarità.
“Anche nelle giovanili non ha giocato molte partite. Anzi, neppure era considerato. Nel primo anno non è sceso in campo manco una volta”.
Gary racconta che, a scoprire lui, Phil e Paul, fu Brian Kidd, in un torneo delle parrocchie. I tre giocavano per la Boundary Park, società nei pressi di Salford, e Kidd, allora braccio destro di Sir Alex Ferguson, dopo averli notati li portò immediatamente nelle giovanili dei red devils.
Poi – come ricordato dallo stesso Neville – i primi problemi d’inserimento per il giovane Paul.
Se per lui e il fratello non ci furono molti problemi di adattamento, infatti, Scholes dovette affrontare inizialmente molte difficoltà, dovute all’asma e a delle sue abitudini alimentari non proprio da sportivo. “Beveva tanta birra e mangiava dolci fino allo sfinimento” continua Gary.
La svolta
Poi, però, nella sua testa sembra scattare improvvisamente qualcosa.
“Smise all’improvviso di bere birra e di mangiare torte: nel giro di un paio d’anni cambiò completamente nel fisico e nella mentalità. È da lì che la società iniziò a vederlo come un vero calciatore. Bryan Kidd già lo adorava, ma da lì iniziò anche Ferguson a farlo. Non ci poteva credere quando lo vide la prima volta… Nel giro di pochi mesi passò da essere senza forze e senza fiato, a quello che correva più di tutti; nel giro di pochi anni passò ad essere il più forte di tutti…”
Una volta arrivato in prima squadra, non ne è uscito più. Il suo repertorio era talmente ampio, che da lui potevi aspettarti veramente di tutto.
Lanci di settanta metri con una facilità disarmante o fraseggio vicino, bordate dai trenta con un’eleganza mai vista o gol sotto porta dopo un inserimento. E poi, ancora: tackle duri se c’era da combattere, giochi di gamba se c’era da esaltarsi ed esaltare pubblico e squadra.
Insomma, usare fioretto o sciabola, per lui, non faceva alcuna differenza. Tanta quantità, abbinata ad una classe infinita.
I numeri da capogiro
Ha giocato quasi ottocento partite in carriera tra club e nazionale, segnando 169 gol. Centosessantanove gol da centrocampista. Una roba senza senso.
In diciannove stagioni con i Red Devils ha vinto ben undici Premier League, poi due volte la Champions League, due la Coppe del mondo per club, cinque la Charity/Community Shield, tre la FA Cup e due la Coppe di lega inglese.
Nazionale
L’unico neo della sua incredibile carriera, quella ‘maledetta’ nazionale inglese con cui ha vissuto l’epoca di una generazione fortissima, ma con cui non è riuscita purtroppo a vincere nulla.
Anche senza vittorie con la sua Inghilterra, però, per il calcio inglese e per tutti gli appassionati Paul Scholes è senza ombra di dubbio uno dei migliori interpreti, dei più forti e completi centrocampisti della storia.
Su questo, credo che nessuno avrà da ridire.