Storie d’altri tempi: genesi del calcio professionistico

Se in Inghilterra la questione è stata risolta sin dai primi anni, nel resto del mondo il passaggio al professionismo avverrà molto più lentamente

Per più di trent’anni – nei decenni di fine Ottocento – nel Regno Unito si è dibattuto molto riguardo la possibilità di far diventare il calcio una professione a tutti gli effetti, eliminando così di fatto l’amatorialismo “sporco”, cioè quello dove alcuni calciatori venivano pagati sottobanco nonostante fosse vietato.

Dibattiti a forte connotazione sociale e politica, infatti, erano all’ordine del giorno in Inghilterra (ma anche in Scozia) tra la Football Association e gli ambienti conservatori, quest’ultimi appoggiati persino da socialisti e comunisti.

Tutti poco propensi ad uno sport stipendiato viste le tante problematiche del tempo (urbanizzazione, diffusione della cultura di massa, crisi economiche post guerre), nonostante sapessero dei pagamenti “nascosti” elargiti dai club.

Il calcio inglese, però, era all’avanguardia rispetto al resto del mondo non solo sul piano tecnico, ma anche e soprattutto sotto il profilo dell’organizzazione.

Così risolse senza troppi patemi il nodo del professionismo sin dal 1885, tanto che in prima divisione calciatori dilettanti e professionisti coesistevano tranquillamente.

Addirittura già dal 1898, l’unione dei giocatori britannici tutelava persino i diritti dei calciatori, alla stregua di un vero e proprio organismo sindacale.

 

Mitteleuropa

La prima federazione calcistica a prendere questa importante e storica decisione dopo i britannici, fu quella austriaca.

La data storica combacia con il 21 settembre 1924, giorno in cui a Vienna nasce ufficialmente il primo campionato professionistico.

Il merito di questo passaggio epocale fu soprattutto di Hugo Meisl – segretario della federazione e commissario tecnico della nazionale – voglioso di portare il gioco del calcio austriaco ad un livello superiore.

Ad appoggiare e supportare le sue idee in maniera decisiva, un gruppo di cinque club viennesi, tra i più in auge dell’epoca: Sport-Klub, Amateure, First Vienna, Rapid Vienna e Hakoah.

Nonostante infatti l’opposizione delle tante società sportive socialdemocratiche (ritenevano il professionismo un ideale di dominazione borghese), la “coalizione” riuscì comunque ad imporsi tra le masse.

Poco dopo, tra il 1925 e il 1926, furono invece Cecoslovacchia e Ungheria a seguire l’Austria e a fare il grande passo.

È bene specificare, però, come inizialmente i campionati professionistici restarono circoscritti essenzialmente alle capitali delle nazioni mitteleuropee.

Vienna, tra le altre, mantenne comunque una certa predominanza, soprattutto su Budapest.

Quest’ultima, infatti, fu stravolta prima dalla rivoluzione comunista di Béla Kun nel 1919, poi dalla repressione della contro-rivoluzione, che resero molto più complicato un ritorno ad un’economia stabile.

In più, l’ormai dilagante antisemitismo costrinse i calciatori ebrei a lasciare il paese.

L’esodo dei migliori calciatori ebrei-ungheresi fu incredibile, soprattutto in casa MTK Budapest, club della borghesia israelita. Molti si trasferirono nell’Amateure Vienna e nell’Hakoah, club austriaci con proprietà ebrea.

E nell’Europa Latina?

 

In Italia, la nascita del professionismo possiamo fissarla al 2 agosto 1926.

Il fascista Leandro Arpinati, allora presidente della Figc (in precedenza podestà di Bologna e sottosegretario agli interni), divise i calciatori italiani in “amatori” e “non amatori”, attraverso la celebre Carta di Viareggio.

Divisione che sancì di fatto la nascita dei primi “calciatori professionisti”.

Prima i “non amatori” venivano pagati attraverso stipendi “mascherati”, salari fittizi di aziende di proprietà delle società stesse (i casi più famosi furono quelli di Rosetta nel 1923 e Allemandi nel 1927).

 

Spagna e Francia

 

In Spagna, invece, l’assemblea della federazione iberica rese legale la pratica del “professionismo” il 28 giugno 1924, anche se il primo campionato professionistico verrà creato solo quattro anni dopo.

In Francia, la Fffa (federazione francese) accettò ufficialmente il professionismo solo nel gennaio del 1931, creando per il settembre 1932 il primo campionato professionista.

Protagonista assoluto fu Jean-Pierre Peugeot, patron della celebre casa automobilistica francese nonché fondatore dell’FC Sochaux, riconosciuta come la prima squadra professionistica in patria.

Peugeot, non avendo la possibilità di far giocare la sua creatura contro squadre del suo stesso livello, si creò da solo un torneo, la coppa Sochaux.
In questo modo aveva così la possibilità di competere con le più forti squadre straniere e francesi.

Fu esattamente davanti a tale forzatura che la Fffa decise di accettare il professionismo.


Sud America

In Argentina, dopo le molteplici scissioni federali avvenute tra fine ottocento e inizio novecento, diversi club decisero di fondare una lega professionistica privata slegata dalla federazione.

Boca Juniors, Racing Avellaneda, San Lorenzo e Huracán si unirono per la sua creazione subito dopo la prima Coppa del Mondo (1930).

Il grande numero di squadre che raggiunse in pochi anni, 18, costrinse la federazione a trovare un compromesso: nel 1934 si unirono ufficialmente.

Nel 1932 fu la volta dell’Uruguay, con la nascita della Liga Uruguaya de Football Professional.

In Brasile – dove sopravviveva il “falso amatorialismo” (i grandi club volevano contenere l’ingresso delle classi popolari) – il passaggio avvenne nel 1933.

Dopo il golpe militare dell’ottobre del 1930, infatti, al potere salì Getúlio Vargas, ex governatore del Rio Grande do Sul. Vargas promosse il professionismo all’interno del suo “programma di ricostruzione nazionale”.

 

Complicata Germania

La federazione tedesca (Dfb) fu molto restia all’istituzione di una Reichsliga (il campionato professionistico), vista la presenza prevalente al suo interno di dirigenti nazionalisti e revanscisti.

Il “falso dilettantismo”, però, prendeva piede anche in Germania.

Nell’ovest renano, per esempio, con lo Schalke 04, – club di Gelsenkirchen identitaria dei minatori della Ruhr – dove non lo davano nemmeno a nascondere, anzi.

Dopo un periodo di squalifiche, sospensioni e discussioni tra club (Schalke, Nurmberg e Dusseldorf) e dirigenti federali, nel settembre del 1932 la Dfb accettò di malanimo la creazione di un campionato professionistico nell’ovest.

Così facendo accontentò sì i club della Renania ma, allo stesso tempo, scatenò l’ira di gran parte della classe politica e militare, che iniziò a minacciare di venire meno ai finanziamenti elargiti per il movimento.

Ci pensò Adolf Hitler con il suo Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) a sopprimere definitivamente la Reichsliga.

Passeranno altri trent’anni prima che la Germania (ovest) possa organizzare il suo primo campionato professionistico.

 

 

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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