Quella volta in cui Totti stava per perdere il Mondiale

Prima il grande spavento, poi fortunatamente il recupero lampo anche grazie ai suoi allenatori Spalletti e Lippi

Non tutti i mali vengono per nuocere: sembrerebbe soltanto un semplice proverbio, eppure è il modo perfetto per descrivere quanto vissuto da Francesco Totti 17 anni fa. Un infortunio grave può segnare per sempre la carriera di un calciatore, ma fortunatamente per lui e per tutti noi italiani così non fu.

L’infortunio

19 febbraio 2006, allo Stadio Olimpico è cominciata da poco Roma-Empoli. Precisamente siamo al 6′ minuto di gioco e Richiard Vanigli, difensore dei toscani, entra in maniera scomposta su Francesco Totti, da dietro, atterrandolo.

Purtroppo il piede del capitano giallorosso rimane impiantato sul terreno di gioco, il resto del corpo scivola via e la gamba compie una torsione innaturale. Seguono urla di dolore facilmente percepibili da ogni punto degli spalti. Le immagini non sono adatte ai più sensibili e tutti si accorgono all’istante di quanto sia grave la situazione: quello non è un infortunio di lieve entità. Il numero 10, da terra, dà uno sguardo alla gamba e chiede immediatamente il cambio. Lo portano via sulla macchina dei soccorsi, il suo volto è evidentemente scosso e preoccupato.

Diagnosi spaventosa: frattura del pèrone

Le prime impressioni negative vengono purtroppo confermate dopo gli esami clinici: frattura del perone sinistro, il che vuol dire almeno 5 mesi di stop. Una doccia gelata per Totti, la cui presenza al Mondiale è praticamente una chimera.

Seguono giorni di preoccupazione, eppure i medici non hanno alcuna intenzione di perdere tempo e gli comunicano che deve operarsi subito. Finisce dunque sotto i ferri per due ore e si risveglia con una placca di metallo e ben 8 viti nella caviglia. Corpi estranei che non ha voluto mai rimuovere, come rivelato anni dopo dal professor Pier Paolo Mariani (chirurgo che si occupò in prima persona dell’intervento): “Quando l’ho operato gli ho detto che dopo 7 mesi doveva tornare da me perché dovevo levargli le viti, ma lui non se l’è fatte mai togliere perché aveva paura. Non è una buona cosa avere quel pezzo di metallo dentro di sé”.

Quando gli allenatori fanno la differenza

Tuttavia per fermare Er Pupone ci vuole ben altro. Con coraggio si rimbocca le maniche e comincia subito il percorso riabilitativo, assistito da gente fidata e dai migliori esperti in quel settore. Palestra, piscina, ancora palestra, fisioterapia, riatletizzazione. Fa tutto ciò che serve, spingendo forte sull’acceleratore e in poco tempo il miracolo è compiuto: dopo appena 100 giorni torna in campo per gli ultimi impegni stagionali della sua Roma.

Un ruolo determinante in quel recupero prodigioso è attribuibile sicuramente ai suoi due allenatori: Luciano Spalletti e Marcello Lippi. Il primo va a trovarlo praticamente tutti i giorni, cercando di tenere su il morale del capitano giallorosso. Il secondo invece si presenta in ospedale appena dopo l’operazione e gli dice con un tono quasi imperativo: “Francesco, in Germania ho bisogno di te, devi esserci“. A fare la differenza a volte non è una collocazione in campo o un consiglio tattico, bensì qualcosa riguardante la sfera emozionale. Perché si tratta di uomini ancor prima che calciatori.

Dalla paura alla gloria: Totti campione del mondo

Pertanto Lippi lo inserisce nella lista dei 23 convocati pronti a partire alla volta della Germania. Nonostante non abbia ancora ripreso pienamente il ritmo partita, il CT di Viareggio non ha alcuna intenzione di rinunciare ai colpi del miglior trequartista italiano. E la sua scelta lo ripaga alla grande.

Indimenticabile il rigore calciato allo scadere contro l’Australia, decisivo per trascinare l’Italia ai quarti di finale. Lui quel match lo comincia dalla panchina, poi subentra al posto di Alex Del Piero e quando Fabio Grosso va giù in area, l’arbitro assegna il tiro dagli 11 metri. Una ghiotta occasione per vincere un incontro pieno di insidie, ancora fermo sullo 0-0. A quel punto i suoi compagni si allontanano, nessuno vuole calciarlo e allora Totti si prende la responsabilità e dimostra al mondo intero il motivo per cui è lì. Seguono attimi di tensione, un Paese col fiato sospeso. Le immagini televisive le ricordiamo molto bene: la telecamera stringe sugli occhi del Pupone, intorno a lui c’è un silenzio assordante. Rincorsa, tiro, palla verso il sette e gol. Esplode la festa e la sua esultanza è iconica, col pollice in bocca.

Sappiamo tutti come prosegue quel Mondiale: la doppietta di Toni e il tiro da fuori di Zambrotta contro l’Ucraina, le reti di Grosso e Del Piero contro i padroni di casa, lo stacco imperioso di Materazzi in finale contro la Francia e per finire la vincente lotteria dei rigori. L’Italia sale sul tetto del mondo per la quarta volta e il merito è anche di Francesco Totti, autore appunto di 1 rete e ben 4 assist in 7 partite.

Dalla paura di non dover giocare il Mondiale alla gioia di vincerlo: un’odissea fortunatamente a lieto fine.

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