Luigi Meroni, la farfalla granata

Il ricordo di una promessa del calcio italiano che ci ha lasciato troppo presto

“Gigi Meroni è un ribelle che viene da una tranquilla città di provincia” così Gianni Mura – celebre e storico giornalista lombardo – lo descrive all’inizio della sua carriera, quando indossa la maglia del Genoa.

Gigi è un ragazzo di Como amato da tutti, generoso, ma soprattutto genuino. In ogni sua minima sfumatura, in ogni sua passione.

Dalla pittura, passando per musica, scrittura e, ovviamente, il suo amato calcio.

I primi passi

Cresce a suon di ginocchia sbucciate e raccomandazioni di mamma Rosa (il papà purtroppo manca quando ha soli due anni) nell’oratorio di San Bartolomeo a Como. Al suo fianco, sempre il fratello Celestino, che lo accompagnerà anche nella sua prima esperienza tra i professionisti, per poi decidere di abbandonare il calcio.

Simbolo anticonformista, spinto da un desiderio che va oltre la leggiadria con la quale gioca a pallone, Gigi presto abbraccia le influenze britanniche e statunitensi dell’epoca (siamo negli anni 60). Beatles, Mary Quant, le stesse contestazioni studentesche.

Il coraggio non gli manca e l’idea che la società contemporanea possa imporgli usi e costumi, per lui, è una forma di oppressione.

Luigi d’altronde è diverso, ha bisogno di volare: in campo, e fuori.

La farfalla come simbolo

Nel rettangolo verde parte dal Como, allora in Serie B, dopo che la mamma aveva rispedito al mittente l’offerta dell’Inter. A detta sua, troppi chilometri da casa per mandare il figlio ad allenarsi tre volte a settimana.

Nonostante Gigi a diciassette anni avesse un lavoro fisso- una bella fortuna vista l’epoca e la situazione economica della famiglia Meroni- come disegnatore in un’azienda tessile, alla chiamata del Como mamma Rosa non oppone resistenza. Finalmente, potremmo dire oggi a posteriori.

Sì, perché in un mondo del calcio già allora incentrato sugli affari, Meroni appare un instancabile romantico.

Sin da subito interpreta il ruolo di ala: sia destra che sinistra, seppur sia chiaro come preferisca partire da esterno sinistro per poter rientrare sul destro. Il cosiddetto piede forte che, nel caso di Luigi, lo era per davvero.

Velocità, tecnica invidiabile, piede sopraffino. Il diciannovenne si divertiva, strappando più di un’emozione al pubblico, dopo essere sgusciato per l’ennesima volta dalla marcatura del proprio dirimpettaio. Tra i mal capitati, anche il terzino del Genoa Livio Fongaro, che non ci pensa su due volte prima di consigliarne l’acquisto al proprio club.

Detto, fatto. In vista della stagione 1962/1963, Gigi si trasferisce a Genova. Sponda rossoblù.

Successo e tragedia

Alla corte del Grifone- secondo squadra per numero di scudetti dopo la Juventus all’epoca- esordisce nella massima competizione, e esplode sotto la gestione del tecnico argentino Benjamin Santos.

Gli bastano due anni per attirare le attenzioni di altri club, molto meno, per diventare il beniamino della tifoseria genovese. Dopo 42 gare e 7 reti, è il Torino di Nereo Rocco a presentare un’offerta. 300 milioni di lire per l’esattezza (una bella somma per quegli anni), una cifra, che Giacomo Berrino a malincuore è costretto ad accettare.

Il club granata, a 15 anni dalla tragedia di Superga, sta cercando di rifondare una squadra capace anche solo di avvicinarsi a quella inarrivabile di quel quinquennio d’oro, partendo proprio da una promessa come Gigi. L’acquisto, si dimostrerà più che mai azzeccato.

I soprannomi farfalla e calimero iniziando a rimbombare tra i tifosi, e le gesta di Meroni vengono imitate da centinaia di bambini dalla fede granata. A dirla tutta, con la maggior di questi, che provavano a replicare quell’iconico pallonetto messo a segno da Gigi contro l’apparentemente invincibile Inter di Herrera (reduce da 3 anni di risultati utili consecutivi).

È sulla cresta dell’onda, un esempio sano da seguire per chi si affaccia a questo sport. Purtroppo, però, anche le stelle più luminose, spesso finiscono per spegnersi sul più bello.

15 ottobre 1967, la data di quell’impensabile tragedia. È un giovane tifoso del Torino chiamato Attilio Romero- che ironia della sorte ne diventerà anche presidente nei primi anni 2000- a investire un inerme Gigi mentre si stava dirigendo a casa, privandolo della vita a soli 24 anni.

È un duro colpo, una ferita che ancor oggi rimane aperta nei cuori di chi ne ha potuto ammirare le gesta.

Sì, perché era difficile non amarlo per le sue prodezze, impossibile, non apprezzarne l’essenza di uomo.

Perché a precisa domanda sulla sua scelta di portare i capelli lunghi ha sempre risposto così: “Probabilmente perché mi dicono tutti di tagliarli”.

Sempre sé stesso, mai come lo volevano gli altri.

Oggi, Gigi avrebbe compiuto 80 anni. Ovunque tu sia, buon compleanno farfalla granata.

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Pietro Caneva
Mi sono occupato dell'intera stesura di "Domenica alle 15. Il calcio al tempo dei social" di Luca Diddi (ex Match Analyst dell'Hellas Verona e CEO di Calciatoriignoranti)

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