Romanzando con… Giacomo Tedesco

Intervista a un palermitano doc con il sud nel sangue

Tanti anni tra Serie A e B, in piazze calde che, come lui stesso ci ha detto, rispecchiavano il suo carattere. Giacomo Tedesco è stato un signor centrocampista a cavallo tra gli ultimi anni novanta e la prima decade degli anni Duemila. Tante le maglie indossate: Palermo, Reggina, Napoli, Bologna, Salernitana, Catania… Abbiamo ripercorso con lui la sua carriera e parlato un po’ del calcio attuale.

 


Partiamo dalla parentesi Catania: tu palermitano doc, che accetta la corte del Catania, che poi ti farà litigare persino con tuo fratello Giovanni, all’epoca proprio giocatore del Palermo.

Ma io sono contento di aver potuto giocare con e contro mio fratello, abbiamo giocato poco insieme a Salerno e poi abbiamo giocato contro. Siamo stati due centrocampisti ottimi per la serie A e sono contento per quello raggiunto. Peccato non aver giocato di più insieme…

Ho accettato Catania, ma in quel momento, a 31 anni, avrei preferito arrivasse una proposta dal Palermo che non è mai arrivata. Peccato.

Io sono cresciuto nel Palermo e ho giocato due stagioni da giovane in rosanero, mentre mio fratello ha fatto il percorso opposto chiudendo la carriera lì. Il rimpianto è non averci giocato con una maturità giusta, quando ci ho giocato avevo 18/19 anni e non sono riuscito a gestire la pressione delle critiche che normalmente in piazze così arrivano.

E qualche errore di gioventù poi l’ho fatto, mentre mio fratello era maturo al punto giusto per poter lasciare qualcosa alla gente di Palermo che poi ha lasciato.

Comunque a Catania ho passato due stagioni ottime e li ringrazierò sempre.

Poi quel Palermo – Catania 0-4 con quel gol indimenticabile di Mascara da centrocampo che tu hai vissuto anche se dalla panchina… Cosa hai provato in quel momento?

Ero incazzato perché Zenga non mi fece giocare (ride). Le avevo giocate tutte prima, quello fu l’unico derby che non giocai manco un minuto e ci rimasi male. Zenga mi disse che lo fece per tutelarmi visto che all’andata avevo fatto espellere in uno scontro di gioco Carrozzieri e che potevo ricevere insulti o quant’altro. Che potevano prendersela con me. Quel Palermo era fortissimo e 11 contro 11 non so se sarebbe finita così (vinse il Catania anche all’andata ndr). Io gli risposi che però ero incazzato lo stesso (ride).

Il gol di Mascara poi è stato fantastico, un gol di Verre del Palermo di qualche settimana fa me lo ha ricordato, anche se l’importanza della partita non era la stessa…

Qualche settimana fa c’è stato il match tra Palermo e Reggina, un’altra tua ex. Immagino tu sia rimasto legato anche a Reggio. Possiamo dire che quella versione di Giacomo Tedesco sia stata la migliore per maturità e prestazioni?

Sì, sono rimasto contento dalla vittoria del Palermo perché rimane la squadra della mia città, ma spero che entrambe tornino presto in Serie A, piazze così se lo meritano. A Reggio sì, è stata la mia versione migliore perché, come dicevo prima, quando sei maturo al punto giusto ti esprimi meglio.

Quando sei al culmine delle tue forze fisiche e mentali riesci a gestire meglio anche le pressioni e le critiche. E a Reggio mi sono trovato alla grande…  


Hai giocato quasi tutta la carriera salvo Bologna in città del sud, piazze calde e seguitissime dai propri tifosi. In quale ti sei trovato meglio?

Mi sono trovato benissimo in tutte. Le metto tutte sullo stesso piano, perché il mio carattere passionale si sposava alla perfezione con le piazze del sud.

C’è un giocatore che hai dovuto fronteggiare in campo e che ti ha fatto pensare “Minchia quanto è forte?”   

Ne ho affrontati tanti, ma dico Zinedine Zidane. Lo ho affrontato due volte in carriera, con la Salernitana e con il Napoli. Era incredibile. Ricordo la partita col Napoli, quando mister Mondonico che ora ci guarda dal cielo disse a Magoni di marcarlo a uomo. A fine partita Oscar mi disse: “non l’ho preso mai!”. Zizou aveva una facilità di smarcarsi allucinante, era imprendibile.

Poi ne hai affrontati altri in quegli anni: Ronaldo il fenomeno, Totti, Del Piero, Trezeguet, o molti del Milan. In quegli anni, quelli della vittoria delle due Champions League, era pieno di campioni imprendibili, andavano come i treni. Devo fare i nomi? Cafù, Serginho, Kakà, Seedorf, Shevchenko… Mamma mia! Erano devastanti. Quando ci giocavo contro avevo sempre paura delle loro ripartenze, arrivavano come gli indiani… Non li prendevi mai.

E invece di quelli meno conosciuti, c’è qualcuno che ti ha impressionato o che hai pensato potesse fare di più?

Ma no, perché credo che ognuno ha quel che si merita. Chi arriva in serie A o in Serie B è perché se lo è meritato. Certo, a volte magari il rapporto con l’allenatore, la piazza o i compagni può compromettere una stagione, e ne abbiamo visti tanti di calciatori che da una parte fanno male poi da un’altra invece si esprimono al meglio. Però, alla fine, i conti tornano sempre e ognuno raggiunge ciò che merita nella maggior parte dei casi.

Parliamo un po’ del Palermo di oggi, che sicuramente starai seguendo. In serie B adesso sta attraverso un buon periodo con una nuova proprietà, pensi possa tornare presto in serie A?

Io ci credo sempre. Non so se sarà già quest’anno, ma il progetto della nuova proprietà è un progetto importante, ambizioso. È vero che sotto ha tanti club ma sta investendo tanto anche su Palermo. Corini ha avuto giustamente difficoltà all’inizio perché la squadra era quasi completamente rinnovata. Sono rimasti 3/4 dello scorso anno. Penso a Brunori, Marconi, Valente e Soleri, il resto ha avuto bisogno di tempo per adattarsi alla nuova città e alla categoria. Ma sono convinto che grazie alla nuova società Palermo possa tornare in alto… 

Come già detto in precedenza, hai giocato quasi sempre in piazze del sud tranne la parentesi Bologna. Ma hai mai ricevuto proposte da club del nord più blasonati?

Come dicevo prima il mio carattere mi ha portato spesso a giocare in piazze calde, mi sentivo vivo e anche le critiche o le pressioni mi spronavano. Quasi le amavo e ne avevo bisogno. Tranne a Palermo dove ero ragazzo come detto, era il Palermo dei cosiddetti “Picciotti”, 13/14 palermitani in squadra. Lì purtroppo non sono riuscito a gestire le critiche e ho poi litigato con la società per il contratto ed è andata come è andata.

Poi ho avuto un approccio con l’Inter una volta da ragazzo, sembrava fatta poi però qualcosa andò storto. Non so, le due società non si misero d’accordo. Peccato perché confrontarmi con giocatori di quel calibro mi avrebbe sicuramente fatto bene. Era l’Inter del Fenomeno…

Hai avuto tanti allenatori in carriera: qual è quello che ti ha lasciato qualcosa in più degli altri, a livello calcistico o anche umano?

Ne ho avuti tanti e devo dire che tutti mi hanno lasciato qualcosa. Penso a Zenga, Delio Rossi, Mazzarri, Zeman… Ognuno di loro a suo modo mi ha lasciato qualcosa.

A proposito di Zeman: è vera la leggenda che fa fare i gradoni con un compagno sulle spalle?

Verissimo. Ricordo il ritiro con lui, fu durissimo. Ci faceva lavorare come nessun altro, infatti poi durante l’anno andavamo più degli altri fisicamente. Sì, ci faceva saltare il gradone con un compagno di pari peso sulle spalle. Uno solo però perche di più era impossibile (ride). 

Il tuo idolo da bambino?

Nicola Berti. Ammiravo come si muoveva, come si smarcava dagli avversari, mi ispiravo a lui perché faceva il ruolo che sognavo di fare io. Non guardavo il grande Maradona o Platini come potevano fare la maggior parte dei ragazzini, ma giocatori come lui in cui potevo rivedermi in campo. E devo dire che mi ha aiutato molto vederlo giocare. Mi ispiravo a lui.

Quindi tifavi anche Inter da bambino?

No, non ho mai tifato per una squadra in particolare, ho sempre tifato per le squadre del sud più piccole, ovviamente in primis il Palermo ma anche altre, come per esempio il Lecce. Non ho mai tifato le grandi, no.

Parliamo del Napoli attuale. Finalmente sembra spedito verso la vittoria del terzo scudetto dopo tanti anni. Cosa ne pensi della squadra? Hai avuto modo di vederla e di farti un’idea?

Il Napoli mi piace molto perché gioca all’attacco. Non pensa “prima non prenderle” come molte altre squadre italiane, ma ad attaccare e fare gol. Poi ha una rosa completa, gli stessi Raspadori e Simeone giocherebbero titolari in tanti club italiani. Anche in Champions ci sta facendo divertire e sì, penso possa arrivare in fondo anche lì…

L’intervista video qui 

Giacomo Tedesco e Gigi Potacqui
Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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