Andrés Escobar: una storia tragica

 

«Gomez non deve giocare, altrimenti faremo saltare in aria casa sua».

È questo il famoso messaggio ricevuto dal C.T. della Colombia, Pacho Maturana, alla vigilia della seconda partita del Mondiale ’94. Torneo che vedeva i “los cafeteros” in un girone sulla carta abbordabile con i padroni di casa dell’Usa, la Romania e la Svizzera.

Un messaggio forte e che rende bene l’idea del clima che si respirava in quei giorni in Colombia.
Colombia che a quel torneo arrivava con una lunga serie di vittorie, compreso un indimenticabile 0-5 al Monumental all’Argentina. Persino sua maestà Pelé rimane ammagliato, inserendo i colombiani come una delle possibili favorite.

Ecco spiegata la mole di scommesse fatte a favore del passaggio del turno in patria: uscire al girone per gli scommettitori colombiani sarebbe stata una vera tragedia.

Girone

Dopo il primo match perso contro la Romania di George Hagi e Florián Raducioiu, il 22 giugno al Rose Bowl di Pasadena, la squadra di Maturana affronta gli USA di Bora Milutinovic. Un avversario alla portata, seppur padrone di casa, quindi da battere per sperare nel passaggio del turno.

Manca all’appello il portiere di Italia ‘90 René Higuita, incarcerato fino a qualche giorno prima per essere implicato in un sequestro di persona. Presenti invece le colonne Valderrama, Asprilla, Freddy Rincón e Luis Herrera, a cui avevano rapito il figlio poche settimane prima (straziante il suo appello in tv in lacrime per richiedere il rilascio).

In campo, ovviamente, pure Andrés Escobar, difensore 27enne dell’Atletico Nacional e titolare inamovibile per Maturana in nazionale, protagonista sventurato di tutta questa storia.

Quel giorno, infatti, il difensore è sfortunato come mai era accaduto nella sua carriera.

Su un cross proveniente dalla sinistra, colpisce male la palla, che si infila alle spalle del suo portiere Córdoba.

Ne esce fuori un autogol incredibile, che influirà purtroppo sul 2-1 finale (e sulla classifica) e spedirà quindi gli USA agli ottavi e a casa i colombiani. Una disfatta totale.

Dieci giorni dopo, con ormai tutti i calciatori tornati nelle proprie città, il tragico avvenimento.

Il tragico evento e la prima versione

La sera del 2 luglio 1994, infatti, Andrés Escobar si reca in una discoteca per la semplice voglia di svagarsi un po’.

Alcune ricostruzioni parlano di un Andrés che si recò a El Indio, locale di Medellín, all’interno del quale cercò di flirtare con una prepago (come in Colombia vengono chiamate le prostitute).

Ma pare la ragazza fosse legata a un gruppo di narcotrafficanti che, una volta accortisi della situazione, presero il gesto come un affronto.

Uno scambio di battute, un insulto, la risposta e… gli spari mortali.

In un paese dove ti sparavano per il sì e per il no, c’era sempre il rischio di incappare in qualcuno armato fino ai denti. Il contesto sociale, davvero terribile, dell’epoca in Colombia dopo la morte di Pablo Escobar Gaviria (il numero uno dei narcotrafficanti che controllava praticamente tutto il paese), fece il resto.

L’altra versione

Altre ricostruzioni, invece, dicono che sia stato freddato per l’autogol e il conseguente discorso delle scommesse perse dai “los pepes” (cartello di Cali).
Il mandante pare fosse
Juan Santiago Gallon Henao, narcotrafficante e proprietario dell’auto dove fuggirono i banditi, che dicono perse un sacco di soldi in scommesse a causa di quella sconfitta. Henao è stato preso e condannato soltanto 24 anni dopo l’uccisione.

L’esecutore, invece, Humberto Munoz Castro, verrà preso subito e sconterà, dopo vari sconti di pena, solo poco più di dieci anni (doveva scontarne 46).

Secondo la ricostruzione riguardo il litigio per una donna, il sicario pare non sapeva nemmeno chi fosse e che quella non era stata un’esecuzione legata al giro delle scommesse, ma il frutto di una lite.

Che sia successo per una lite o per le scommesse perse, non lo sapremo mai. Quel che è certo, è che Andres Escobar venne ammazzato con colpi d’arma da fuoco, fuori da un locale, dieci giorni dopo la sfortunata autorete.

Lasciando purtroppo di sé il triste ricordo di una tragica e terribile storia.

Luigi Potacqui
Ho creato Romanzo Calcistico. Ho scritto per Sonzogno "La magia del numero 10", perché il 10 è davvero un numero magico. Poi, non contento, ho scritto “Settimo Cielo”, il romanzo dei numeri 7. Perché nel vedere giocare Garrincha, Meroni o George Best, per arrivare fino ai giorni nostri con CR7, non puoi che sentirti in paradiso.
https://www.romanzocalcistico.com

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