Justin Fashanu: quando il calcio si macchia di discriminazioni e bigottismo

Un omaggio a vita e carriera del centravanti inglese

9 febbraio 1980, Carrow Road. Alle ore 15, il Norwich City di John Bond ospita il Liverpool. I favoriti- neanche a dirlo- sono i Reds guidati da Bob Paisley (che proprio in quell’annata vinceranno il loro dodicesimo scudetto), ma, per quanto possa suonare pleonastico: si sa, nel vocabolario calcistico della First Division non esiste l’impossibile.

A maggior ragione, quando si gioca in casa di quel Norwich.

Squadra compatta, arcigna, dura da battere tra le mura amiche, come insegnano le vittorie conquistate in stagione contro Manchester United e Arsenal (battuti rispettivamente 4-1 e 2-1).

Tra le fila dei Canaries, infatti, si vedono campioni del mondo come Martin Peters, e una serie di giovani interessanti: da Graham Paddon, passando per Kevin Reeves e… Justin Fashanu.

La partita

La sfida è un botta risposta. Prima i padroni di casa segnano con Peters, poi, il Liverpool prende il sopravvento. 2 reti nel giro di 10 minuti firmate dal centravanti David Fairclough, e gara ribaltata.

Non basta il gol del pareggio di Reeves allo scadere della prima frazione di gioco per cambiare la direzione della partita: i Reds soffrono, ma danno sempre la sensazione di poter fare male, passando nuovamente in vantaggio sul finale di secondo tempo con il solito Fairclough.

È una gara che non lesina emozioni, come testimonia la sinfonia dei 27000 accorsi allo stadio.

Sinfonia, che al minuto 81 diventa ovazione.

I padroni di casa girano palla da sinistra a destra, per poi verticalizzare su Fashanu: stop ad accentrarsi, palla che si alza dopo una carezza d’esterno, e calcio al volo di sinistro che si insacca abbassandosi all’ultimo.

È nata una stella avrebbe urlato Massimo Callegari, allora, il telecronista si limitò all’esclamazione:” Ooo what a goal, an amazing goal“.

Uno sprazzo di genio, che non vale i tre punti (con i Reds che vinceranno la partita 5-3), ma il premio di “Goal dell’anno” assegnato dalla BBC a fine stagione.

E, soprattutto, un biglietto da visita per il prosieguo di carriera dell’allora ventenne Justin.

Una nuova sfida

È il Nottingham Forest ad acquistarlo l’annata successiva, investendo denaro e fiducia sul classe ’61. Il gioco dei Tricky Trees, però, sembra poco adatto alle caratteristiche di Justin, e il rapporto con il tecnico Brian Clough si complica sin da subito. Visioni calcistiche diverse? No, il motivo è molto più profondo, radicato in una cultura puritana macchiata di bigottismo e razzismo.

Sì, per quanto sembra assurdo da dover specificare, Justin, oltre alle sue origini africane (certamente non viste di buon occhio), è omosessuale.

Orientamento, che presto avrebbe influenzato non poco la sua carriera.

L’inizio di un incubo

Mentre i tabloid inglesi rimbalzano sulle prime pagine titoli dedicati alla vita privata di Fashanu, Clough decide direttamente di metterlo alla porta.

Come dichiarato successivamente, con palese pentimento nella stessa autobiografia del tecnico, questo sarebbe stato uno dei dialoghi tra i due avvenuti nello spogliatoio:

Dove vai se vuoi una pagnotta?”, gli chiede Clough.

Da un fornaio, immagino“, risponde Justin.

Dove vai se vuoi una coscia d’agnello?”, insiste l’allenatore.

Da un macellaio“, risponde ancora il giocatore londinese.

Allora perché continui ad andare in quei cazzo di locali per froci?”.

Insomma, un trattamento barbaro (per usare un eufemismo) nei confronti di un uomo che, messo alle corde, decide addirittura di presentare al tecnico una ragazza come prova della propria eterosessualità.

Un gesto disperato, dettato dal desiderio di voler continuare a esprimersi in campo, a costo di nascondere se stesso.

L’allenatore britannico, però, non ha dubbi: per il bene della squadra, Fashanu deve essere ceduto.

Da quel momento, sarebbe iniziato un calvario tra prestiti e infortuni.

Declino

Prima passa in prestito al Southampton, poi, viene acquistato dal Notts County dove finalmente fa intravedere di nuovo il suo talento. Torna a segnare con continuità, e soprattutto a mostrare le movenze di quel promettente giocatore che vestiva la maglia del Norwich.

Si tratta però solo di un’illusione: presto, sarebbe arrivato l’infortunio al ginocchio.

Si procura una brutta ferita dopo un contrasto con un avversario nella sfida contro l‘Ipswich Town. È il 31 dicembre 1983: l’inizio di un’odissea che non gli avrebbe dato pace.

Fine carriera

Rientra in campo prima della fine della stagione, ma il suo rendimento non è più lo stesso. Fatica a sprigionare quella sua innata esplosività, ma soprattutto sembra perdere il feeling con il gol.

La ferita si infetta e non gli dà tregua, tanto che il centravanti – dopo una breve parentesi al Brighton – è costretto a volare negli Stati Uniti per curarsi, per poi dover restare per ben tre anni fuori dal rettangolo verde.

È l’ennesima batosta, purtroppo, non l’ultima.

Riesce a tornare in campo cambiando negli anni un’infinità di maglie (13 totali): da quelle di Manchester City e West Ham, passando per i dilettanti del Southall nelle vesti di giocatore- allenatore, sino al suo ultimo capitolo in Nuova Zelanda con il Miramare Rangers.

Proprio durante la parentesi al Southall, la presa di coscienza e il desiderio di urlarla al mondo tramite un’intervista rilasciata al quotidiano “The Sun”.

Basta maschere, Justin senza mezzi termini dichiara la propria omosessualità. È il primo calciatore della storia a farlo, con una presa di posizione forte e liberatoria.

Una scelta, però, che lo porterà nei mesi a dover ingiustamente convivere (o almeno a provarci) con l’odio sprigionato da ogni forma di discriminazione. Persino il fratello John, anch’esso calciatore, lo rinnega e non vuole più saperne di lui.

Negli anni l’accanimento nei suoi confronti lo logora, amplificato dalle prime pagine dei giornali di gossip che spesso inventano scoop sul suo conto. Tutto falso, come l’accusa di molestie da parte di un ragazzo di 17 anni, che avrebbe cercato di estorcergli denaro sostenendo la mancata consensualità del loro rapporto.

È l’ultima goccia, l’ennesima bufera mediatica che lo mette in ginocchio, tanto da portarlo a quel terribile gesto.

Il 3 maggio 1998 viene trovato impiccato con un cavo elettrico all’interno di un garage semi-abbandonato nell’East End londinese. Le indagini accertano come l’ex calciatore si sia impiccato. In una tasca, viene ritrovato anche un biglietto contenente uno messaggio di addio, in cui Fashanu fornisce anche la sua versione dei fatti: “Desidero dichiarare che non ho mai e poi mai stuprato quel giovane. Sì, abbiamo avuto un rapporto basato sul consenso reciproco, dopodiché la mattina lui mi ha chiesto denaro. Quando io ho risposto ‘no’, mi ha detto: ‘Aspetta e vedrai’. Sperò che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace“.

 

Dopo il suo tragico gesto, le accuse cadranno per assenza di prove e Justin verrà assolto. Comportamenti disgustosi come Razzismo e Omofobia di cui il calcio si è macchiato, invece,  no, non si possono assolvere.

Pietro Caneva
Mi sono occupato dell'intera stesura di "Domenica alle 15. Il calcio al tempo dei social" di Luca Diddi (ex Match Analyst dell'Hellas Verona e CEO di Calciatoriignoranti)

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