Per essere un grande calciatore, si sa, bisogna abbinare le proprie doti naturali all’allenamento costante, missione non affatto facile e scontata. Se non si ha la testa per sudare quotidianamente, il cosiddetto spirito di sacrificio, non si va da nessuna parte. E si finisce dunque di sprecare quel talento che madre natura ti ha dato e che tutti vorrebbero avere. Ne conosciamo tanti di calciatori che non sono riusciti ad esprimersi al massimo delle proprie potenzialità, per un motivo o per l’altro, finendo per perdersi e lasciare dietro di sé una serie infinita di rimpianti. Uno di questi è sicuramente Álvaro Recoba, trequartista uruguaiano che in Italia conosciamo molto bene. Dotato di un mancino a dir poco stratosferico, preciso e potente, un’arma letale per abbattere in qualsiasi momento gli avversari. Eppure la sua pigrizia non gli ha permesso di diventare un campione, cosa che, a detta di quanti lo conobbero, era assolutamente alla sua portata.
Gli esordi in Uruguay
Nativo di Montevideo, cresce calcisticamente nelle giovanili del Danubio, club della sua città. Debutta tra i professionisti l’11 gennaio 1994, non ancora diciottenne. Segno che effettivamente è un ragazzo promettente, dal futuro potenzialmente roseo. In tre stagioni realizza ben 32 reti in 41 presenze e successivamente si trasferisce al Nacional, altra squadra della capitale uruguaiana, decisamente più blasonata. Con i Tricolores va a segno 30 volte in 33 match disputati, contribuendo alla vittoria di Clausura 1996 e Apertura 1997, risultando in quest’ultima circostanza il miglior marcatore con 9 centri.
Moratti stregato dal ‘Chino’
Nell’estate 1997 ad Appiano Gentile girano delle videocassette del Nacional ed alcune finiscono nelle mani di Massimo Moratti. L’allora presidente dell’Inter si innamora seduta stante delle giocate di un ragazzino, riferendo ai suoi uomini fidati che dalle movenze gli ricorda addirittura Diego Armando Maradona. Si tratta ovviamente di Álvaro Recoba, soprannominato ‘El Chino’ per i suoi tratti somatici simili a quelli orientali. Da quel momento la sua vita e la sua carriera hanno una svolta: il club nerazzurro lo mette sotto contratto. Un colpo di fulmine destinato a durare fino ai giorni nostri. A più riprese, infatti, l’ex patron della Beneamata ha dichiarato che l’uruguaiano è stato in assoluto il suo giocatore preferito. Un amore reciproco, come quello che lega un padre al figlio.
Quella volta in cui rubò la scena a Ronaldo
Mancano dieci minuti alla fine di un match che l’Inter sta perdendo, a San Siro, per 1-0 contro il Brescia di Andrea Pirlo. Siamo alla prima giornata di Serie A della stagione 1997/98. Moratti ha appena battuto il record mondiale per l’acquisto dal Barcellona di un certo Luis Nazario de Lima, comunemente noto come Ronaldo. Prima della partita tutte le attenzioni e le telecamere sono per lui, il Fenomeno brasiliano. Le aspettative sono alte, i tifosi nerazzurri ora vogliono quello scudetto che non vedono da tanto, troppo tempo.
A pochi minuti dalla fine, nella diffidenza generale, a San Siro entra Álvaro Recoba, l’ennesimo acquisto sudamericano dei nerazzurri, ma molto meno conosciuto di Ronaldo. Il numero 20 riceve un passaggio di Cauet sui 30 metri e manda la palla all’incrocio dei pali. San Siro diventa una bolgia, El Chino comincia ad esaltare il suo nuovo pubblico. L’Inter poi va in vantaggio, ma non finisce qui. Con grande personalità Recoba si prende una punizione da 35 metri e con grande precisione segna. Moratti ha fatto il doppio colpo: Ronaldo il Fenomeno e Álvaro Recoba. L’Inter può finalmente sperare nel tricolore che manca dal 1989. È nata una nuova stella a San Siro, o meglio così si spera.
Decisivo poi in Coppa Italia contro il Foggia, segna con un delizioso pallonetto da centrocampo in campionato contro l’Empoli. Pur a fronte del limitato impiego, Recoba emerge tra le note più liete della stagione interista, contribuendo alla vittoria della Coppa UEFA e al secondo posto in Serie A.
Super impatto col Venezia e rientro all’Inter
Complice una discontinuità di rendimento, dovuta allo scarso impegno negli allenamenti, colleziona appena 4 presenze. Così a gennaio 1999 viene mandato in prestito al Venezia, dove riesce ad avere un impatto devastante. L’allenatore dei lagunari Walter Novellino lo lascia libero di esprimersi su tutto il fronte d’attacco e la squadra ne beneficia alla grande ottenendo una salvezza insperata. In 19 partite, segna 10 reti e sforna 10 assist. Da ricordare la tripletta contro la Fiorentina e la punizione magistrale contro l’Inter all’ultima giornata. Inoltre permette al suo partner d’attacco Filippo Maniero di passare da 0 a 12 marcature in metà campionato.
Rientra all’Inter e si afferma da titolare dapprima con Lippi, successivamente con Cuper. Viene coinvolto nello scandalo passaporti e rimane lontano dal campo per alcuni mesi. Seppur riesca a raggiungere in più stagioni la doppia cifra di marcature e passaggi vincenti, le sue prestazioni continuano ad essere altalenanti. L’ultima annata degna di nota è quella del 2003-04, poi inizia a calare e a perdere terreno nelle gerarchie nerazzurre. Alterna partite di qualità ad altre in cui sembra un fantasma. L’ultima rete in nerazzurro arriva il 29 aprile 2007 a San Siro, ancora contro l’Empoli, direttamente da calcio d’angolo. Chiude la sua avventura all’ombra della Madonnina con questi numeri: 9 stagioni e mezza, 261 presenze, 72 gol, 64 assist e 7 trofei sollevati (2 Scudetti, 2 Coppe Italia, 2 Supercoppe Italiane e 1 Coppa UEFA).
Declino tra Torino e Panionios
Dopo aver raggiunto l’apice negli anni in nerazzurro, la sua carriera imbocca il viale del tramonto. Il 31 agosto 2007, a un anno dalla scadenza del contratto che lo lega all’Inter, passa in prestito al Torino. Qui sfoggia un nuovo look: rasato praticamente a zero. Irriconoscibile per quanti si erano abituati a vederlo in campo con l’inconfondibile taglio a caschetto. In granata segna appena 3 gol, di cui 2 memorabili in Coppa Italia contro la Roma. L’unica partita in cui si è rivisto il vero Chino. Si trasferisce poi in Grecia, al Panionios, un club tutt’altro che competitivo. In una stagione e mezza, scende in campo in 24 occasioni e trova la gioia personale 6 volte.
Ritorno alle origini e l’addio al calcio
A dicembre del 2009, a distanza di 14 anni, Álvaro Recoba fa ritorno nella società che lo aveva lanciato nel calcio professionistico: il Danubio. Tuttavia la sua avventura dura meno del previsto: dopo appena un anno e mezzo, in cui segna 10 reti in 31 presenze, rescinde il contratto e passa nuovamente al Nacional. Praticamente uno dei più classici déjà-vu. La vicinanza alla famiglia lo fa rinascere e gli permette di sfoggiare il meglio di sé. Calci di punizione magistrali, ben tre gol olimpici, giocate da far stropicciare gli occhi e molto altro. Un giocatore di una classe unica, capace di essere decisivo per la conquista di 2 campionati uruguaiani. Chiude la sua seconda parentesi con il club di Montevideo dopo 101 partite disputate, 18 reti e 22 assist.
Dice addio al calcio il 31 marzo 2016, con una partita celebrativa disputata allo Stadio “Gran Parque Central” di Montevideo con alcuni dei migliori talenti sudamericani della sua generazione, tra cui Carlos Valderrama, Juan Román Riquelme e gli ex compagni di squadra Javier Zanetti e Iván Zamorano. Ha anche vestito la maglia dell’Uruguay per dodici anni, partecipando ai Mondiali del 2002 e siglando 11 reti in 69 apparizioni.
Se solo avesse avuto la voglia di allenarsi…
Chiunque abbia parlato di lui nel corso degli anni, oltre a mettere in risalto il suo inimitabile estro, ha evidenziato quanto fosse pigro. Un odio senza confini verso gli allenamenti quotidiani, la corsa e la tattica. Lui voleva soltanto giocare, divertirsi, illuminare e incantare, cose che gli riuscivano molto bene. Un difetto non di poco conto che lo ha portato ad essere etichettato come il più grande spreco di talento nella storia del calcio.
«Nelle ripetute non lo vedevi neanche. Odiava la corsa, la tattica: era disgustato da queste cose. […] Recoba era uno che voleva farsi coccolare, sentirsi importante». Queste le parole di Filippo Maniero, come detto, suo compagno di squadra ai tempi del Venezia.
«In lui la pigrizia era pari al genio. Enorme. E il conflitto, inevitabile, tra questi due tratti distintivi venne alla fine vinto dalla pigrizia, purtroppo per l’Inter e per la sua carriera». Queste le parole di Sandro Mazzola, icona del club nerazzurro.
«Non è stato il miglior giocatore al mondo solo perché non lo ha voluto». Ne è convinto ‘El Brujita’ Juan Sebastian Veron, che ha condiviso con lui due stagioni all’Inter.
Quelli che lo hanno amato incondizionatamente, come Massimo Moratti, lo ricorderanno con più dolcezza: “Recoba è sempre rimasto un sogno: tu lo mettevi in campo e sapevi che poteva farti in ogni momento la cosa più bella che avevi mai visto”.
Al di là di tutto, El Chino Álvaro Recoba resterà per sempre uno dei più grandi ‘what if’ della storia del calcio. Cosa sarebbe stato, se solo avesse avuto la voglia di allenarsi.