Cairo Toro ti scrivo

Acquistato nel lontano settembre 2005, il club granata guidato dall'editore e imprenditore non è mai decollato. Perché?

Urbano Cairo e la Torino granata

Cosa c’entrano Urbano Cairo, il 2006, il granata e il Mondiale azzurro vinto a Berlino? Se lo domanderebbe Chiara Alessi nel suo podcast di mezzogiorno sul Post, forse. Intanto, proviamo a domandarlo noi per riepilogare qui che ne è cosa ne è stato del Torino di Urbano Cairo. 

Oggi il Torino è saldamente in Serie A, l’ultima retrocessione risale all’anno 2010-2011.

GLI ESORDI NEL CLUB GRANATA

L’imprenditore made in Berlusconi rileva il club granata da acque burrascose, nelle quali è immerso già dagli anni Novanta, per la cifra simbolica di diecimila euro tramite il cosiddetto modo operandi amministrativo Lodo Petrucci. Il primo campionato in serie B finisce in gloria: lo spareggio playoff contro il Mantova, grazie alla rimonta nella gara di ritorno (dal 2-4 subito in trasferta al 3-1 in Piemonte), regala il ritorno in Serie A.

Parte una nuova era: è l’11 giugno 2006, è iniziato da due giorni il Campionato del Mondo di Germania e l’Italia di Marcello Lippi ancora non sa di essere la prossima vincitrice.

Alberto Zaccheroni in panchina e Doriano Tosi alla scrivania sono i volti del nuovo corso. Ma il travaglio è dietro l’angolo, perché già a metà stagione rientra Gianni De Biasi. Se a gennaio il posto occupato in classifica è più che buono, undicesimo, alla fine dei giochi i tifosi granata devono accontentarsi del 16° posto ottenuto grazie a vittorie pesanti come quella di Roma contro la Roma e in casa contro l’Ascoli.

UN MAGRO TRIENNIO

Anche il De Biasi bis dura poco, la storia di Cairo alla guida del club antonelliano è fatta di dietrofront e cambiamenti continui a cominciare dagli allenatori. La seconda stagione di A vede Walter Novellino sedere in campo con i giocatori, Stefano Antonelli e Fabio Lupo gestire invece le sorti dirigenziali. Le spese sono già alte dopo il ritorno dagli Inferi, il monte ingaggi è tra i maggiori della massima serie. Alla fine, però, l’epilogo dice ancora De Biasi a chiudere la stagione per un quindicesimo posto e una salvezza sudata fino alla fine.

Al terzo anno, Mauro Pederzoli affianca come Direttore sportivo il tecnico alla terza esperienza in granata. Ma è un altro fuoco di paglia. Il 7 dicembre 2008 la Fiorentina sbanca il Comunale con un pesante poker firmato da Mutu, Giardino e Kuzmanovic, torna Walter Novellino. A inizio anno nuovo, poi, arriva Rino Foschi alla direzione sportiva mentre a fine marzo Giancarlo Camolese diventa il terzo tecnico stagionale. Non basta, però, neanche il successo sul Napoli al San Paolo firmato Bianchi e Rosina (17 maggio): il Torino retrocede in Serie B.

GLI SVILUPPI

Sono passate solo tre stagioni dalla gloria post-Mantova. Il decollo non è mai arrivato. Stavolta serve una annata in più, con Gianpiero Ventura on board, il secondo posto dietro al magico Pescara di Zdenek Zeman garantisce la nuova uscita dall’incubo cadetto. Che non tornerà più, fino ad oggi.

Negli anni del secondo decennio Duemila, però, degna di nota è soltanto la stagione del 2013-2014. Quella del ritorno in Europa, complice anche il fallimento del Parma. Nell’anno seguente, ai gironi il Toro regala gioie ai suoi tifosi e passa alla fase a eliminazione diretta grazie anche alla storica vittoria al San Mamés di Bilbao. E’ anche l’anno del ritorno dei tre punti in un derby contro la Juve. Darmian e Quagliarella mandano in delirio la curva Maratona dopo vent’anni di digiuno nella stracittadina. Nella stagione ’94-’95 i granata conquistarono addirittura sei punti su sei.

Per il resto delle stagioni della decade, però, solo la qualificazione in Europa League del 2018-2019 può essere menzionata come degna del valore del club granata. Anche se poi nella stagione successiva Walter Mazzarri non ha vita lunga sulla panchina del Toro.

 

IL CAIRO GRANATA DI OGGI

Oggi, invece, Ivan Juric è alla seconda stagione torinese. E’ il quindicesimo tecnico dell’era Cairo e anche con lui i dissidi, i momenti di tensione, non sono mancati. Come la doppia litigata, tra estate e inverno, con il direttore tecnico Davide Vagnati con al centro mani, parole pesanti e discorsi di calciomercato.

Nella stagione 2021-2022 il Torino ha concluso la sua Serie A al decimo posto con 50 punti. Alla 27a giornata, nel campionato in corso, i punti sono 37 (1,37 a partita) valevoli per l’undicesima posizione. Con un rendimento interno/esterno pressoché paritario.

Anche quest’anno i derby sono andati alla Juventus: 0-1 all’andata e 4-2 al ritorno all’Allianz Stadium. Insomma, tutto poco fuori dalla norma. Su 27 derby in diciotto anni, ha ricordato Tuttosport, sono 21 quelli persi e uno solo quello vinto. “Un bilancio umiliante, che non ha eguali nel calcio italiano ma forse nemmeno nei campionati ciprioti o ceceni”, ha tuonato Andrea Pavan sul giornale diretto da Guido Vaciago. Andando già forte sia su Cairo (“Rimanendo proprietario del Torino Fc ancora per 73 derby e quindi per un’altra cinquantina d’anni: potrebbe anche rientrare nei suoi piani, quando si rimira allo specchio – riuscirebbe forse a vincerne un altro paio”, di derby.) e su Juric: “Di milioni ne guadagna due l’anno e quelli non dovrebbero stipendiare la sua rassegnazione al non saper più come fare per ambire al 10°/12° posto, il mantra della filosofia aziendale. Che a lui, dice, non basta. Pensa un po’ ai tifosi”.

L’ARIA PESANTE DELLA TORINO GRANATA

L’aria pesante a Torino, sponda granata, non è mai andata via sotto Cairo. Sempre Pavan sul suo giornale, dopo il pesante ko inflitto dal Napoli al Comunale per 0-4, ha scritto che “Cairo è ambizioso per vendere giornali e pubblicità, e basta. De Laurentiis ha costruito una società forte e organizzata, con dirigenti competenti nei ruoli chiave, Cairo no. De Laurentiis l’orgoglio e la passione della piazza li ha coltivati, con mosse di mercato anche coraggiose e prese di posizione magari discutibili ma roboanti, trascinanti per i tifosi e il loro senso di appartenenza, che percepiscono condiviso; Cairo l’orgoglio e la passione granata li ha prosciugati”.

E ancora: “Non c’è più un tifoso che lo ami, che gli creda, che si tratti del grottesco Robaldo o dell’acquisizione dello stadio, dove pure qualche parola la sta spendendo; del museo o del Filadelfia, delle prospettive altalenanti e modeste della prima squadra o del peregrinare mortificante della Primavera. Al massimo c’è chi lo sopporta e se ne fa una mesta ragione in base alla filosofia del meno peggio”.

L’IMPEGNO MANCATO

Intanto, il Cairo-presidente ha spesso pensato a cercarsi altri lidi piuttosto che aumentare il suo impegno sulla causa torinese. Bari e Palermo sono esempi del suo passato interessamento, mentre i versamenti nelle casse del club in diciotto anni ammontano a poco più di 60 milioni di euro. “Di cui tuttavia 55,7 milioni tra il 2005 e il 2012 prima che, come detto, Cairo aprisse nuovamente il portafoglio nel 2022, con i 6,5 milioni”, ricorda Calcio e Finanza, spesi nel 2022 “come finanziamento dalla controllante UT Communications Spa, la holding del patron”.

Nel 2021 il rosso registrato fu di 38 milioni di euro circa, 37,8, “il quarto esercizio consecutivo chiuso in perdita per il club granata (-19 milioni nel 2020) e una perdita record nell’era Cairo” ricordava C&F. Con fatturato, ricavi e costi in netto aumento rispetto all’anno pandemico.

“È una bella idea. Dobbiamo cercare di lavorarci perché potrebbe essere una buona soluzione. Io ci pensavo già quattro anni fa, ma allora i miei collaboratori me lo sconsigliarono. Però ci voglio ripensare”, ha detto il presidente-imprenditore a dicembre sull’ipotesi seconda squadra da iscrivere alla Serie C seguendo le orme della Juventus Next Gen. Ma l’impressione è che neanche un secondo gruppo possa far scattare una scintilla che con la piazza non è mai nata.

Nuovo sit-in contro Cairo: "Un mercato scadente, un campo indecente" - Toro .it

A quindici anni dall’acquisto del club, a Repubblica – giornale rivale del suo Corriere della Sera – Cairo disse che “non voglio restare a vita. Nel febbraio 2010 lo misi in vendita, ma non arrivarono offerte. Non ho mai avuto la sensazione che ci fosse qualcuno con qualcosa in più di me. Ho ricevuto il Toro dal fallimento; ora è sano, con giocatori di proprietà, il vivaio, le strutture e la storia unica. Quando lascerò, lo cederò a chi potrà fare meglio di me”.

Per i quindici anni si auto-attribuì un 7 in pagella e qualche rammarico per l’amore-odio con la piazza. Un’altra valutazione rivedibile tra tante nella sua storia con il Torino.

 

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