Questo Bayern non fa il Monaco

Forse è esagerato parlare di crisi del modello ma cosa sta succedendo di strano in questa stagione al Bayern Monaco?

Bayern Monaco

Si possono accostare i termini crisi e Bayern Monaco? Forse no, neanche in una fase delicata come quella attuale. O forse sì.

24 marzo: Julian Nagelsmann viene ufficialmente esonerato dal Bayern Monaco. 11 aprile: il Manchester City strapazza i tedeschi, li batte 3-0 e chiude – a meno di miracoli nella gara di ritorno – il discorso per il passaggio alle semifinali di Champions League. 11 aprile, ore 22.23 circa, Sadio Mané e Leroy Sané si rendono protagonisti di una litigata-scazzottata protrattasi dal campo agli spogliatoi. Settembre 2022: dentro e attorno al Bayern si parla di crisi. Tre punti in quattro partite, un trend negativo sconosciuto da vent’anni, causato dai ko e pareggi rimediati con Augusta, Stoccarda, Monchegladbach e Union Berlino. A inizio anno si ripete la storia: arrivano i pareggi contro Lipsia, Colonia e Francoforte e tornano i pensieri. Muller parla di preoccupazione, di nuovo.

CHE SUCCEDE AL BAYERN MONACO?

Gli indizi messi in fila in questa apertura possono bastare a rispondere positivamente al quesito iniziale? Diciamo di sì. La stagione attuale del Bayern Monaco sta da tempo assumendo contorni strani, per tanti elementi. Gestionali, sportivi, tecnici.

Se in campionato adesso la situazione è comunque ottima, con il primo posto (anche se non al sicuro) davanti a Borussia Dortmund e Union Berlino e una media punti comunque al top, le vicende in Champions League e in generale l’andamento stagionale sembra non rassicurare dentro e fuori.

La lite tra Sané e Mané ha fatto scalpore e ha prodotto la sospensione per quest’ultimo: “non sarà nella squadra del FC Bayern per la partita in casa contro il 1899 Hoffenheim sabato prossimo”, oggi. “Inoltre, Mané riceverà una multa”, chiosava la nota del club dell’altro ieri.

Anche l’esonero del tecnico Nagelsmann, arrivato con grandi aspettative perché simbolo di una certa visione iper-modernista del calcio giocato e andato via con grandi delusioni. Dal rapporto poco sereno con Robert Lewandowski nella passata stagione ai magri risultati in campo fino alla poco – troppo poco – evidente mano messa sui singoli, in positivo s’intende. L’ombra di Tuchel era comparsa già a settembre, addirittura, e tra le motivazioni dell’addio del tecnico rientrerebbero anche fratture personali con i giocatori e la dirigenza. Troppo pesanti da far dimenticare il pagamento della clausola da 25 milioni di euro per strapparlo al Lipsia e assicurarselo per cinque anni.

SI PUO’ PARLARE DI CRISI DEL MODELLO BAVARESE?

Insomma, una storia sbagliata in una stagione che però neanche con l’approdo in corsa di Tuchel sta decollando. Almeno in Champions. Dove il successo del 2020 sembra già lontano, seguito dall’uscita ai Quarti contro il Psg nel 2021. (non più di Tuchel, cacciato a dicembre ma vittorioso nel torneo con il Chelsea, contro il Man City) E da quella contro il Villarreal nell’edizione scorsa.

“Il risultato è troppo severo e siamo stati puniti proprio quando stavamo facendo meglio del Manchester City e l’inerzia era dalla nostra parte. Nonostante il 3-0 mi rifiuto di parlare di una prestazione negativa, ho visto un’ottima gara per 70′. Manca ancora un po’ di forma e fiducia, è un risultato duro da digerire, ma il calcio non regala niente”, ha detto il tecnico di Krumbach dopo il ko di Manchester di questa settimana.

Il caso Nagelsmann, il progetto tradito dalla stessa dirigenza pesa evidentemente come un macigno nel giudizio del Bayern di oggi. Anche il caso Neuer-Tapalovic, preparatore dei portieri esonerato dalla dirigenza bavarese a discapito dell’ex portiere biondo, cozza con una certa immagine gestionale interna al Bayern.

Che però rimane un club grandioso, che l’estate scorsa ha chiuso il bilancio in attivo per trenta esercizi consecutivi. “Questo è tutt’altro che una cosa ovvia e ha a che fare principalmente con il DNA del Bayern, per cui non spendiamo mai più di quanto guadagniamo”, ha detto Jan-Christian Dreesen, vicepresidente del cda. Un club che si nutre del suo stesso business fatto di azionariato e che no, proprio non accetta di vedersi accostare il termine crisi.

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